Sandro Piccinini (Magazine – novembre 2008)

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Nel suo salotto ultra design ha piazzato un biliardo col panno bordeaux. Me lo immagino mentre fa la telecronaca delle sue stesse giocate: «Sciabolata di spondaaa… Gran botta… Non va!». Sandro Piccinini, cinquant’anni, romano, inventore della telecronaca ansiogena e palpitante, ex conduttore del talkshow calcistico Controcampo, imitato dai comici e copiato dai colleghi, ora lo si può ascoltare solo nella riserva sperimentale del digitale terrestre Mediaset. Mentre parliamo si toglie e si rimette l’orologio un centinaio di volte, si passa ripetutamente una mano tra i capelli da ex Big Jim («Mi chiamavano così a Teleroma 56») e da single ordinatissimo raccoglie ogni briciola che cade dal tavolo.
Piccinini è nel mondo del pallone tv da trenta anni, da più di venti è alla corte catodica di Berlusconi. E non si preoccupa più di tanto di entrare nella cristalleria del giornalismo sportivo roteando palle incatenate. Quando gli sottopongo il caso Varriale-Zenga (un conduttore Rai e un allenatore che grugniscono in diretta scambiandosi allegramente minacce), mi spiega che il calcio in tv vive di ritorsioni e che impera il dilettantismo.
Partiamo dal dilettantismo.
«Il presupposto è che ai giocatori e agli allenatori di andare in tv non gliene frega niente. Ma proprio niente».
Mi pare legittimo.
«Scherza? Le squadre hanno un contratto con la Rai».
E quindi?
«Dovrebbero fare come negli Usa: se perdi, se vinci, se ti rode o se sei felice, dato che hai un contratto, lo rispetti e basta. Da professionista».
Non è così?
«No. E i giornalisti abbozzano. Ha notato come si comporta con Mourinho? Ci sono due partiti: quelli che fanno piroette per lodarlo e quelli che si ritrovano senza l’ospite in collegamento perché lui prende, saluta e se ne va. Poi c’è il ricattello mafioso».
Cioè?
«La ritorsione. Mi è capitato decine di volte. Con tutti: Sensi, Galliani, Moggi… “Hai detto questo? E allora i miei giocatori non li vedi per sei mesi”. Io mi sono sempre tutelato».
Come?
«Creando per Controcampo una squadra di commentatori fissi: se non veniva il calciatore poco male».
Parlare di calcio senza calciatori: una noia.
«La presenza di un supercampione non garantisce gli ascolti. Tranne qualche eccezione».
Quale eccezione?
«Una su tutte: Alex Del Piero. Lui, da solo, ti dà il 2% di share. E poi è super professionale, mai una fregatura…».
Chi le ha dato fregature?
«Molti. La peggiore Shevchenko. Un po’ per vigliaccheria: stava per lasciare il Milan e forse temeva i fischi. Ci ha dato buca all’ultimo secondo. Molto meglio Ringhio, allora ».
Gattuso?
«A un certo punto ha detto basta. Ma almeno mi ha spiegato perché: Mughini aveva elogiato l’italiano di Shevchenko dicendo che lo parlava meglio di Gattuso. Da quel momento…».
Chi altri non è mai venuto in trasmissione?
«Totti, che è un amico, ma non se l’è mai sentita. Cassano, che ha bisogno di un clima amichevole, e da noi…».
Si rischiava la rissa.
«Al massimo una discussione accesa. Capello una volta se ne è andato incavolatissimo perché avevamo accostato il suo nome a quello di Zeman, cosa per lui insopportabile. Ma io sono contro le risse alla Biscardi. Allontanano i telespettatori».
Aldo Grasso scrisse che lei faceva un programma di antipatici.
«Un po’ è vero. Io mi ritengo antipatico, lo è anche Mughini… ma c’era un mix: l’avvocato Prisco prima e poi Abatantuono, compensavano».
Gli eccessi del calcio parlato istigano i tifosi alla violenza?
«È una balla. Il tifo fazioso e appassionato fa parte della cultura calcistica italiana. La tv al massimo può amplificarlo».
Non mi pare poco: gli arbitri delegittimati…
«Le radio romane arrivano proprio alle minacce. Ma una gag sulla moviola tra Mughini e Liguori non credo faccia male a nessuno. La presenza femminile poi ingentilisce il tutto».
La presenza di Elisabetta Canalis una volta è stata usata da Berlusconi per farsi uno spot elettorale durante la sua trasmissione.
«Che dovevo fare? Il Milan aveva vinto la Coppa Intercontinentale…».
C’erano le elezioni alle porte.
«E lui ha sfruttato l’occasione. Ma averlo lì come presidente del Milan era una notizia. E poi con noi, prima di scendere in politica, il Dottore è sempre stato presente».
Come boss di Mediaset. La chiamava spesso?
«Per qualsiasi particolare: le luci, la scenografia. Anni fa mi rimproverò perché aveva notato che non mi spuntava la camicia dalla manica della giacca».
Eccessivo.
«Be’, voleva pure far tagliare i baffi a Marino Bartoletti!».
Maniacale.
«A parte le esagerazioni, in tv servono dirigenti attenti e competenti. A me è andata sempre bene: ho cominciato con Gori, poi Freccero. Intelligenti e appassionati».
Freccero…
«Uno che vive per la tv. Qualche anno fa, quando era già in Rai, mi chiamò per dirmi che aveva visto una puntata in cui ci eravamo soffermati con le inquadrature su delle strane scarpe blu di Del Piero. Mi disse: “Grande televisione, d’ora in poi guardo Controcampo, altro che Domenica sportiva”».
Lo sport sulla Rai?
«Vecchio. Anche perché lì ci sono gerarchie incancrenite ed è scomparsa la meritocrazia».
Mi fa un esempio?
«Se il direttore dello Sport Rai volesse sostituire Civoli perché ha trovato un giovane fenomeno, non potrebbe. In Mediaset non è così. Ettore Rognoni, soprattutto con il digitale terrestre, sta dando spazio a ragazzi bravi: Massimo Callegari, Mikaela Calcagno…».
Aziendalista.
«Io? Ma se mi sono licenziato nel ’96 da Mediaset. Feci un contratto annuale per le telecronache. Come il contratto che ho ora».
Lei ha lanciato prima Guida al campionato e poi Controcampo, che ha condotto fino a due anni fa. Perché ora non ha un programma?
«Sarei tornato in studio solo per fare Controcampo su Canale 5 alle 23. L’azienda, invece, ha messo quella trasmissione su Rete4».
Un declassamento?
«Un po’ sì. Ora si punta sul Digitale. E io qui sto. A rosicchiare ascolti a Sky a suon di telecronache».
Massimo Marianella e Fabio Caressa, i due telecronisti di punta di Sky, sono suoi pupilli.
«Erano con me a Teleroma 56. Con Massimo abbiamo costruito per anni un archivio enorme di info utili. E ricordo ancora quando mandai Fabio la prima volta in trasferta per un Cesena-Lazio».
Siete “quelli dell’enfasi”. Urlate pure se la palla è ferma.
«Non io. Ho fatto un elenco di errori frequenti nelle telecronache e tra questi c’è pure l’eccesso di enfasi».
Teoria e tecnica della telecronaca perfetta.
«Ritmo. Il nome del giocatore va scandito. Se possibile prima che tocchi la palla. Musicalità, preparazione capillare, senza eccessi».
In che senso?
«Non è che si può declinare il curriculum di un giocatore mentre sta tirando un rigore. Bisogna rendere il clima del momento. A costo di scontentare i tifosi».
A che cosa si riferisce?
«Qualche anno fa venni travolto dalle proteste dei romanisti. Dicevano che in un Valencia-Roma avevo tifato per gli spagnoli».
Non era così?
«No. La telecronaca era stata fedele all’atmosfera dello stadio. Che era molto calda. Non mi metto a urlare per un Milan-Varese estivo con trecento persone sugli spalti».
I suoi “non va”, “sciabolata”, “gran botta”, però ce li mette sempre.
«Per esigenza di telecronaca. Per non dire troppe parole inutili e per non usare le frasi fatte del telecronachese antico».
I suoi “non va” sono diventati una firma.
«È nato anche un fenomeno imitativo: tutti coniano espressioni riconoscibili. Caressa e il tè caldo per l’intervallo, quello che dice “traffico” invece di “mischia”… A volte si esagera».
Diceva: i venti errori frequenti.
«Caressa ne ha appena fatto uno di quelli che ti rovinano la giornata».
Cioè?
«Durante l’ultimo derby romano ha sbagliato il nome del goleador. Ha urlato: “Miiiirko Vu-ci-niiic”. Invece era Baptista. Il resto della telecronaca ne ha risentito. Capita: durante una finale di Coppa Campioni ho gridato un “reteeee” e invece la palla era uscita».
La sua prima telecronaca?
«Nella mia cameretta. Da bambino. Una partita indiani contro cow boy. Registravo le performance di Ameri e poi le imitavo».
La prima partita di calcio?
«Una partita del Torre Maura, una squadretta romana, per Tvr Voxson, proprio imitando Ameri».
Il calcio…
«Ce lo avevo in casa. Mio padre aveva giocato nella Juve e in Nazionale. Anche io speravo di fare il calciatore. Ero nelle giovanili della Lazio. Ma poi, quando avevo 14 anni, papà morì, e io decisi di smettere».
Bisogna aver giocato per parlare di calcio?
«Un minimo direi proprio di sì».
Lei come ci arriva in tv?
«Tramite un collega di mia madre. All’inizio eravamo cinque disperati, a Tvr Voxson. Lavoravamo senza postazioni radio negli stadi e ovviamente senza telefonini».
Come facevate?
«In ogni stadio una trovata. All’Olimpico arrampicati sulla collina di Montemario con il baracchino radio e il binocolo. A Genova affittavamo la terrazza di un signore, si chiamava Fisco, che offriva un servizio completo: linee telefoniche, ombrello e rinfresco. È andata avanti così anche quando sono passato a Teleroma 56».
Era nel gruppo di Michele Plastino?
«Sì. Dal 1982. Plastino portò in Italia il calcio internazionale. Io mi occupavo di quello inglese. A Gol di notte, invece, facevo le interviste».
Che ospiti avevate?
«Eravamo seguitissimi. Vennero: Maradona a palleggiare con le arance, Falcao, Platini…».
Teleroma 56, la tv dei radicali.
«Tutti un po’ plagiati da Pannella. Io militavo proprio. C’erano Bonino, Adele Faccio. E poi Rutelli, che veniva pure a Gol di notte, in quanto laziale. Un vero faccionista».
Un faccio… che?
«Uno di quelli che ama mettere il faccione in video».
Altri faccionisti.
«I più pericolosi sono i tardivi. Quelli arrivati alla popolarità televisiva un po’ tardi».
Un esempio?
«Lotito, faccionista principe: ha messo la Lazio in silenzio stampa per apparire solo lui».
Chi altri?
«L’arbitro Cesari. Ma anche Gianni Riotta».
Il direttore del Tg1?
«Con le elezioni americane si è fatto 48 ore di fila. Il faccionista non sente la fatica».
Dopo la parentesi coi radicali ha più fatto politica?
«No. Ma seguo tutto. E ogni tanto immagino un mio talkshow sulla politica».
Modello Floris o modello Vespa?
«Santoro è il più capace. Nella sua trasmissione c’è sangue e qualità: un gran lavoro».
È accusato di essere fazioso.
«Tecnicamente è eccezionale».
Lei quando arriva a Mediaset?
«Prima c’è una parentesi in Rai nel 1982: telecronache del Mondiale per le tv locali. Paolo Valenti mi fece i complimenti, ma chiarì che in Rai ci si entrava con altri metodi. In Fininvest bastò mandare una cassetta a Gigi Garanzini».
La presero subito?
«Cercavano qualcuno per Telecapodistria che seguisse il calcio estero. Io lo facevo da anni».
La prima trasferta da telecronista?
«Porto-Real Madrid. Al mio fianco, Capello».
L’allenatore?
«Allora diceva che non avrebbe mai allenato. Era un ex del Milan che faceva l’impiegato di lusso alla Mediolanum. Con lui ho girato tutta l’Europa. Abbiamo dormito insieme nello stesso letto più volte».
Capello: da collega a ospite in trasmissione…
«All’inizio fu un po’ freddo, ma poi si è comportato bene. Al contrario di Bettega: nominato dirigente della Juve, da un giorno all’altro ha smesso persino di rispondere al telefono».
Bettega, Giraudo, Moggi. Uno dei suoi ex ospiti fissi, Mughini, sostiene che le storie della Triade e di Calciopoli siano invenzioni.
«Che i designatori arbitrali avessero rapporti stretti con la dirigenza juventina è un fatto. Nessuno potrà dimostrare che questo abbia sortito effetti pratici, ma noi che seguiamo ogni domenica le moviole, certi favori li abbiamo riscontrati».
Ha coltivato molte antipatie nella sua carriera?
«A che cosa si riferisce?».
Qualche anno fa Giacomo Crosa le mostrò in diretta il dito medio.
«Era collegato da un’edicola romana. Avevo mandato la pubblicità prima che lui aprisse bocca».
Alba Parietti fuggì da un collegamento con la sua trasmissione Italia1 Sport.
«Le avevamo promesso di non parlare di un gossip sui suoi presunti rapporti con Vialli. Ero sovrappensiero. Appena collegata le chiesi: “Non le sembra che Vialli sia un po’ stanco?”».
Ha litigato con Bonolis.
«Lui aveva sbertucciato il nostro direttore dello Sport, Rognoni, chiamandolo er penombra. A Controcampo dissi che a Bonolis troppa luce aveva dato alla testa. Mi chiamò Confalonieri per dirmi che avevo esagerato».
È quasi venuto alle mani con Fascetti.
«Quando ero a Teleroma 56. Avevo criticato la Lazio. Mi disse: “Lei non capisce nulla”. E io: “A giudicare da come gioca la sua squadra è lei che ci capisce poco”. Si imbufalì».
Fascetti in seguito dichiarò: «Piccinini con le sue sciabolate dovrebbe occuparsi di scherma, non di calcio».
«Pizzichi continui. Ma Tosatti ci fece fare pace».
A cena col nemico?
«Ilaria D’Amico. Quando mi proposero il passaggio a Sky si disse che avrei preso il suo posto».
Quando le proposero il passaggio a Sky?
«Nel 2005. Avrei potuto fare le telecronache di Germania 2006. Ma non si è trovato l’accordo».
L’errore più grande che ha fatto?
«Non costruire una famiglia con una mia ex: un’architetta. L’amore per il design viene da lei».
La canzone?
«I Deep Purple. Li ascoltavo con mio fratello».
Il film?
«Film rosso, di Kieslowsky, visto dieci volte».
Il libro?
«L’uomo sentimentale di José Marías».
Quanto costa un pacco di pasta?
«Sono un single da supermercato: un euro e qualcosa».
I confini di Israele?
«Libano, Siria, Giordania e… Iraq».
L’Iraq, no. L’Egitto. Quanti anni ha la Costituzione?
«Sessanta».
La sorpresa del Campionato?
«Il Napoli. Chi lo immaginava a questi livelli?».
Il giocatore rivelazione?
«Zarate. Lotito ha fatto il colpo e ha un altro merito: è l’unico ad aver rotto tutti i rapporti con la feccia dei tifosi violenti».
La delusione di quest’anno?
«Per ora Quaresma. Mi pare un bidone».
Quest’anno chi vince lo scudetto?
«Il Milan».
Riecco l’aziendalista.
«Anni fa, a inizio campionato, alla stessa domanda risposi “l’Inter”. Mancini dichiarò: “Ci vogliono mettere pressione”. C’è sempre un retro-pensiero: sei servo… sei gufo…».

Categorie : interviste
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