Pino Daniele (Magazine – settembre 2008)

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Nel buio del locale si sente solo la chitarra di Pino Daniele. Accorda, arpeggia, ondeggia. Pizzica le corde con le dita paffute. Sta provando pezzi antichi, anni Settanta. L’uomo “nero a metà” ha già riempito parecchie piazze coi suoi concerti della reunion, il Vai mo’ Tour 2008. Questa celebrazione dei suoi trent’anni d’immersione musicale (il triplo album si chiama Ricomincio da 30) si chiuderà il 21 settembre a Milano. Mentre mi avvicino a lui, entrano nel salone gli altri musicisti del leggendario “neapolitan power”: Joe Amoruso alle tastiere, James Senese al sax, Rino Zurzolo al basso, Tullio De Piscopo alla batteria. Tony Esposito, trasporta una valanga di percussioni e porta una ghirlanda hawaiana al collo. Sul palchetto delle prove viene piazzata pure la custodia gigantesca di un contrabbasso. «Ma dentro che ci stà, o muorto?», ride Pino. Poi viene verso di me. Ha la vista traballante. Si muove lentamente. Berretto e pantaloni militari. Una maglietta nera con un teschietto stampato sopra, stivali anfibi ai piedi.
Quando gli chiedo se sia un look da chitarrista impegnato e barricadero, mi spiega che sono solo vestiti comodi e che lui le barricate (almeno quelle politiche) le ha abbandonate. E infatti, da sinistra, sono partite le bordate: c’è chi gli ha rimproverato di aver appoggiato l’azione napoletana anti rifiuti del sottosegretario Guido Bertolaso.
Il musicista Vinicio Capossela ha organizzato un concerto contro le discariche campane e ha detto che chi, come lei, applaude il governo, sbaglia. Che cosa ne pensa?
«Ma chi è questo? Da dove viene? È di Napoli, Capossela?».
No.
«Il suo mi pare un atteggiamento un po’ ideologico».
Forse da un artista di sinistra come lei qualcuno si aspettava qualche critica a Berlusconi.
«Io oggi non sono né di sinistra né di destra».
La accuseranno di tardocentrismo, o peggio di qualunquismo.
«Ho vissuto 30 anni da contestatore, roba di sinistra pesante. A parte le Feste dell’Unità, facevo iniziative sociali toste nei quartieri. E poi le mie canzoni…».
E ora?
«A chi può piacere una sinistra in cui si litiga così tanto? Ha visto il Pd in Sardegna? Oggi ho abbandonato certi filtri e certi paraocchi che aveva la mia generazione».
Quale generazione?
«Quella che ha fatto il Sessantotto. Ora mi sento più un cittadino che cerca di capire chi fa qualcosa per Napoli».
Berlusconi ha fatto ’o miracolo?
«La città è pulita. Lo vede tutto il mondo. Non so se è ’o miracolo. Ma a Napoli si è visto lo Stato. E questo non era mai successo».
Si sono visti anche i militari per le strade.
«E che male c’è? Mi sembra giusto anche quello. La sicurezza è importante. Io vivo a Roma e sono sicuro che anche Alemanno farà un buon lavoro».
L’8 luglio, in piazza del Plebiscito a Napoli, lei ha regalato il biglietto a chi riciclava rifiuti.
«Volevo dare una mano. E in questo senso, il Comune non mi ha aiutato. Il ministro Prestigiacomo, sì. Capito? Parliamo anche di musica?».
Eccoci. Pare che la coppia Berlusconi/Apicella abbia in cantiere un cd.
«Il premier? Canta? Veltroni correrà ai ripari preparando un duetto con Venditti».
Lei presterebbe un paio di accordi a una canzone del premier?
«Ma scherza? Qui so’ tutti pazzi. Facciamo così: io mi metto a governare e loro salgono sul palco a fare i concerti!».
Sul palco del suo concerto napoletano, quando è comparso Gigi D’Alessio sono partiti parecchi fischi.
«Niente di strano. C’è gente che usa i concerti anche per manifestare un certo malessere».
Lei stesso è stato spesso duro con D’Alessio.
«Sì, ma ora mi sembrava giusto dare un segnale di pacificazione alla città. La musica unita. Una musica anche sociale per Napoli».
D’Alessio ha cantato ’O scarrafone, la canzone che contiene il verso “Questa Lega è una vergogna”.
«Ha scelto lui di cantare quel pezzo».
La causa in tribunale con la Lega però ce l’ha lei.
«La canzone non c’entra. La causa ce l’ho avuta con Bossi e l’ho persa. Gli ho dovuto versare 40.000 euro. La Lega di qualche anno fa oltre a essere più colorita era anche più estremista. Parliamo di musica?».
Trent’anni con la chitarra in mano.
«E mi accorgo che la gente non è più abituata all’ascolto».
Di chi parla?
«I ragazzi, anche quelli che vengono ai miei concerti, sono troppo abituati ai video in tv, al web. Non ascoltano. Vogliono solo il karaoke».
Non le piace che cantino le sue canzoni?
«Da buono scugnizzo ogni tanto gli cambio il testo. Così il karaoke non lo possono fare. Io sono un musicista, non sono un intrattenitore della tv».
Grazie alla tv i cantanti Marco Carta di Amici e Giusy Ferreri di X-Factor hanno passato l’estate in cima alle classifiche.
«Ma quelle classifiche contano qualcosa?».
Sono indicatori di un buon successo.
«Ma per carità. È intrattenimento momentaneo. Sono cantanti di passaggio. Frutti di format copiati dagli inglesi e dagli americani. L’Italia, il Paese della cultura che copia i format!».
Che cosa ha contro quei format?
«Sono molto lontani da come si dovrebbe parlare di musica in tv. O in radio. Lo sa che in radio la percentuale dei pezzi italiani mandati in onda è ridicola? Credo il 5%».
È una rivendicazione patriottica?
«No. Penso che si dovrebbe aiutare la musica italiana. Ci stiamo desertificando».
Pensa che la Rai…
«In Rai ci sono un sacco di pippe che impacchettano le trasmissioni. Dicono che fanno gli autori, ma non vedo un granché. Scrivilo, scrivilo».
Lei che cosa guarda in tv?
«SkyTg24. E Disney Channel, dove fanno cose molto educative anche sulla musica. Cose non solo commerciali».
Lei è un musicista. Le dispiace vendere i suoi dischi?
«No. Ma la musica non può essere solo un prodotto da vendere. Io ho difficoltà a vendere me stesso come prodotto. Credo al mio modo di essere, alla musica come espressione artistica».
Le piacerebbe che un suo pezzo diventasse una suoneria per un telefonino?
«No. Ecco, quello proprio no».
E presterebbe mai una sua canzone a una pubblicità?
«Dipende dalla pubblicità. Ora mi hanno chiesto un pezzo per il film La seconda volta non si scorda mai, e l’ho fatto. Mi sembrava una cosa carina».
Come ai tempi di Massimo Troisi?
«Con Massimo c’era un’intesa particolare».
Troisi, scherzando, diceva che scriveva i film pensando alla sua musica.
«Con lui era un’altra storia: stessa generazione, stessa città, stessi ideali. Una sintonia che non ho più trovato con nessuno».
La sua infanzia?
«L’ho vissuta a via Mezzocannone, vicino al mare di Napoli».
È vero che lì, da ragazzino, le sue zie le insegnarono anche il napoletano “alto” di Eduardo?
«Sono cose di cui non parlo volentieri. È storia antica e non voglio fare il nostalgico».
Ci torna mai in quei posti?
«Ci sono stato due o tre volte negli ultimi anni».
Osannato dai fan del rione?
«Macché. Non sono più una popstar. Anche a Roma passeggio tranquillo senza che nessuno mi dica niente».
Si dice che passi i pomeriggi in un negozio di musica del suo quartiere.
«Sono amici e mi fanno provare gli strumenti».
Quando ha cominciato a suonare?
«A dodici anni. Presi in prestito una chitarra da un amico che mi aveva iniziato ai grandi di quel periodo: Elvis, i Beatles, i Rolling Stones. Da quel momento non ho più smesso».
Canta: «Per la musica, musica, quanto ho pianto non lo so».
«La musica è anche sacrificio. È disciplina. Ho fatto diverse rinunce per la musica. Oggi mi pare che tra i più giovani non ci sia voglia di sacrificarsi: una clip, un video on line e via».
Lei quando ha capito di essere un talento con la chitarra?
«Veramente non l’ho ancora capito. So solo che non so fare altro».
I giovani più promettenti che ha ascoltato recentemente?
«I Negramaro. E poi Elisa che mi piace molto. Ma anche la jazzista Chiara Civello e Giorgia. I talenti in Italia ci sono, il problema è che ormai sembra più importante essere scaltri che bravi».
Con Giorgia e con Chiara Civello ci ha anche duettato.
«Con loro e con moltissimi altri».
Da Santana a Eros Ramazzotti.
«La musica è anche stare insieme su un palco».
Nel 1980 lei era sul palco con Bob Marley.
«Gli feci l’apertura del concerto milanese. Ci ho passato un bel po’ di tempo a chiacchierare. Tra una prova e l’altra, a Milano. Intorno erano tutti molto agitati, lui invece mi si mise accanto e cominciammo a farci domande sulla nostra musica. Marley, come tutti i più grandi, era una persona semplicissima».
Il duetto che non ha mai fatto e che vorrebbe fare?
«Con Eric Clapton».
È vero che tiene una sua foto nella custodia della chitarra?
«Sì. Mi basterebbe incontrarlo e stare sul palco mentre lui suona».
Sembra il commento di un pivello alle prime armi.
«Clapton è uno dei miei miti».
I suoi fan della prima ora le rimproverano di essersi imborghesito o commercializzato.
«Sono addestrato a schivare questa critica».
Dica.
«In Italia è così: tu fai il musicista, poi improvvisamente diventi un fenomeno di costume e fai Bingo».
Lei ha avuto un bel periodo da superstar: da ’na tazzulella ’e cafè a Je so pazzo, passando per I say i’ sto ’cca. Ha sfornato hit su hit.
«Ecco, solo che non puoi fare il fenomeno nazional-popolare per trent’anni».
E quindi?
«E quindi io ho deciso di fare semplicemente il musicista che evolve la propria musica. Che studia con serietà: è un impegno meno visibile, ma di lunga durata».
È vero che ora partirà per un tour in Sud America?
«Chi gliel’ha detto? È il pallino di Tony Renis. Non so se si farà. In Brasile ci vado volentieri, ma solo per suonare il jazz. Piuttosto a gennaio vorrei ripartire con un progetto live, insieme con James Senese. Questo piace a me: suonare, non parlare, anche perché le cose che avevo da dire le ho dette 30 anni fa con le mie canzoni. E ora parlo quasi più l’inglese che l’italiano».
Davvero?
«Be’, ho molte conoscenze in campo internazionale».
Ha un clan di amici?
«Ho amici italiani e non».
I “non”, chi sono?
«Be’, quelli con cui ho lavorato. Due su tutti: Al Di Meola e Chick Corea. Ma diciamo che curo più la famiglia e figli che gli amici».
Ha cinque figli: due grandi e tre piccoli.
«Insieme a loro sto bene».
Il libro della vita?
«Non scrivo libri».
Intendevo il libro più bello che ha letto.
«Ah, scusi… Sa, è pieno di gente che suona, canta e che poi si mette a scrivere libri o girare film».
Lei non lo farà?
«Non è roba per me. Come mi ha detto un giorno Ivano Fossati: “Tu non hai la sindrome del genio”. Comunque il libro che scelgo è Il camorrista di Giuseppe Marrazzo. Ma anche Gomorra è un bel libro».
Lei non aveva polemizzato con Gomorra perché ha dato una brutta immagine di Napoli?
«No. Riferendomi ai film Gomorra e Il Divo, ho solo detto che non era bello vedere a Cannes solo film italiani che fanno il Paese a pezzi. Oltre alla denuncia, utilissima, ogni tanto non sarebbe male dare un segnale di speranza».
Il film indimenticabile?
«C’era una volta in America. Anche per merito della colonna sonora di Morricone».
La canzone?
«Avec le temps di Léo Ferré. Ma poi insomma… ci sono certi pezzi di Frank Zappa o di Stevie Wonder stupendi».
Cultura generale. Quanto costa un litro di latte?
«In Maremma, dove ho un casale, lo pago un euro al distributore automatico: una monetina e via».
Quanti sono gli articoli della Costituzione?
«E che ne so?».
Centotrentanove. I confini di Israele?
«Li chiede a me? Non li sanno manco loro».

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