Claudio Lotito (Magazine – ottobre 2008)

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Entra di corsa nel salone. Posa una borsa zeppa di giornali su una sedia. Da un mazzo di cellulari ne tira fuori uno. Compone un numero. Tre parole e chiude la conversazione: «Non si preoccupi, la terrò edotto». Edotto, dice proprio così. Riattacca. E spara un urlo: «Aoooo. Ma che è ’sto gatto che s’è ’nfilato sotto ar tavolo»? Il micio fugge. Ci sediamo. Claudio Lotito, 51 anni, boss della Lazio in cima alla classifica del campionato, non sta fermo un secondo. Il nostro colloquio viene interrotto da cento telefonate, da quattro incursioni del suo autista Luca e da una lunghissima pausa durante la quale il presidente scrive una lettera da pubblicare su un quotidiano per invitare i tifosi ad andare allo stadio. Legge l’incipit: «Laziali, è il vostro Presidente che vi parla». Ci ripensa: «Patriziaaaa, cancelliamo ’sta robba, che sembra ’n comunicato de Radio Londra durante la guerra». L’assistente corre da una stanza all’altra, appoggia una bustona sulla scrivania, tra un carabiniere di bronzo e una targa di marmo su cui è incisa la scritta: “2004-2007. Grazie per aver salvato la Lazio”. Sembra una lapide. È mezzanotte. Durante tutta l’intervista Lotito fa il Lotito: alterna il romanesco a parole arcaiche o latine. Si parla dei giovani e del ruolo dello sport? «Mens sana in corpore sano. Lo dicevano i romani. E poi ricorda l’Alfieri? “Volli sempre volli”. Pe’ ottene’ risultati, ti devi impegnare». Lui è quello che quando parla in tv, generalmente ha sempre qualcuno accanto che ridacchia. È successo anche qualche sera fa alla Domenica sportiva: Lotito spiegava che nel calcio l’assioma “più spendi, più vinci” non regge più, e gli altri sghignazzavano come se la parola “assioma” fosse sanscrito. Certo, il suo miscuglio linguistico colto/colorito a volte risulta oscuro, ma il fenomeno andrebbe studiato: Lotito nel 2004 è riuscito a salvare una S.S. Lazio che aveva debiti stellari, ha risanato il bilancio e ha ridato un gioco decoroso ai bianco-celesti. Ora è al top del Campionato avendo comprato giocatori indigeribili per i tifosi delle big: Zarate, Brocchi, Lichtsteiner. Malgrado tutto questo non viene preso sul serio.
Lotito, lei vince e gli altri la sfottono.
«Si credono furbi. Ridono perché non sanno replicare ai miei argomenti. Non hanno gli strumenti. A Teo Teocoli ho detto: “Se non sai che cosa vuol dire una parola, comprati un dizionario”».
Lei sembra entrato nella parte.
«Marzullo mi ha detto che sono un personaggio. Non è così. Io vado nudo in tv, cioè senza prepararmi niente».
Appunto, è un personaggio, come direbbe lei… naturaliter. E ci gioca, anche perché ne è consapevole.
«Gnoti seauton. Conosci te stesso. So chi sono».
E infatti ha interpretato se stesso nel film L’allenatore nel pallone 2 e nei Cesaroni.
«Tutto per beneficenza».
Latinismi, grecismi e barocchismi. Esagera.
«E perché dovrei snaturarmi?».
La Gialappa’s band la massacra. Si è beccato un’imitazione feroce del comico/presentatore Max Giusti.
«Mia moglie era parecchio dispiaciuta. “Vedi”, diceva, “ti vogliono ridicolizzare”. Invece io ho detto pubblicamente che l’imitazione mi suscita ilarità. E Giusti mi ha chiamato».
Per dirle che cosa?
«Per ringraziarmi e chiedermi se poteva andare avanti con le gag».
Permesso accordato?
«Purché non intacchi la sfera privata».
Già, sua moglie Cristina. È vero che ogni tanto le dice: «Liberati di quella zavorra della Lazio»?
«Lei è della famiglia Mezzaroma…».
…i costruttori romani…
«Loro hanno già avuto esperienze di gestione di una squadra di calcio, la Roma. Mia moglie è sempre stata contrarissima al mio impegno con la Lazio. La considerava una cosa assurda».
È romanista?
«No. Sapeva che ci sarebbe stata un’esposizione mediatica notevole. E che il rapporto con i tifosi e con la città non è facile. Se io avessi avuto cognizione ab initio delle conseguenze della mia scelta, ci avrei riflettuto di più».
Riecco il latino. Non poteva dire: “dall’inizio”, invece che “ab initio”?
«Guardi che ultimamente ho semplificato molto il mio linguaggio».
Immagino. Diceva: «Le conseguenze della scelta…».
«Be’, a parte le decine di milioni di euro investiti, il debito col Fisco che si estinguerà tra diciotto anni e il tempo tolto alla mia famiglia, sono stato anche minacciato».
Dai tifosi della stessa Lazio. Non ha un buon rapporto con gli ultrà.
«Ora va meglio».
La chiamavano Lotirchio.
«Gli ho tagliato ogni tipo di sostegno economico, da me non hanno più nemmeno un biglietto».
Le minacce…
«Sono arrivati a dire che avrebbero fatto fare a mia moglie la fine delle ragazze del Circeo. Ricorda il fattaccio di cronaca? Tutto per favorire la fantomatica scalata alla Lazio di Giorgio Chinaglia».
Ora i tifosi che l’hanno minacciata sono in carcere.
«E io sono ancora sotto scorta. In quel periodo, nel 2006, l’unica che mi dava spazio per denunciare la situazione era Simona Ventura. Mentre loro tentavano l’estorsione nei miei confronti, Veltroni li accoglieva in Campidoglio».
I capi Irriducibili avevano chiesto udienza al sindaco per difendersi dalle sue accuse. Non è che ce l’ha con Veltroni perché non le ha fatto fare il suo stadio delle Aquile?
«Be’, mi ha detto che a Roma di stadio ne basta uno. Ma poi ha dato la concessione ad altri per costruire 70 milioni di metri cubi in città».
Anche Della Valle ha un suo progetto di cittadella dello sport per la Fiorentina. La sta superando?
«Della Valle per ora da me si è beccato tre pallini».
Lazio-Fiorentina: tre a zero.
«Sullo stadio aggiungo: se Alemanno mi concede i permessi, in due anni e mezzo sarà pronto».
Il suo primo ricordo da tifoso?
«Io sono diventato della Lazio grazie alla mia tata. A cinque anni, mentre passeggiavamo, incontrammo il suo fidanzato. Lui mi chiese per chi tifavo. Risposi: “Boh”. E allora mi disse: “Devi tifa’ Lazio”».
Lei giocava a calcio?
«In porta. Il mio mito era il sovietico Lev Yashin».
La sua famiglia.
«Una famiglia dell’Arma. Mio padre, mio zio e mio nonno: tutti carabinieri».
Sua madre?
«Insegnante».
Lei che scuole ha frequentato?
«Il liceo classico dai carmelitani di Sassone, dalle parti di Ciampino, sulla via dei laghi».
È vero che era un po’ secchione?
«Presi un premio per una delle migliori cento pagelle d’Italia. Un giorno i miei compagni protestarono col professore perché stavo piegato sui libri anche la domenica. Devo ancora ringraziare mio padre per avermi mandato in quella scuola».
Perché?
«Erano gli anni Settanta. La politica era infuocata. Chissà che avrei fatto se fossi stato per strada?».
Non ha mai fatto politica?
«No. Zero».
Non è che spunta una sua foto da giovane in compagnia di Storace?
«No. E poi perché con Storace?».
Si dice che siate vecchi amici.
«Molto prima di lui ho conosciuto l’ex assessore veltroniano alla Cultura, Gianni Borgna, e il rifondarolo Sandro Curzi».
Questo, quando?
«Nel 1976. Quando facevo il giornalista per il Gazzettino del Lazio».
Di che cosa si occupava?
«Di tutto. Per le cronache locali del Tempo, anche di arte. Mi piace il Settecento. Dopo l’esperienza giornalistica e la laurea in pedagogia mi misi a fare l’imprenditore».
Pulizie e security. Come mai?
«Era un settore in espansione. Sono un vero self made man».
È vicino al centrodestra?
«Io non mi occupo di politica».
Il Pdl stava per candidarla alle ultime elezioni.
«È una balla. Guardi, la mia storia imprenditoriale è stata solo danneggiata dalla falsa fama di essere uno di destra. Si sono pure inventati che ho ottenuto appalti da Storace».
Non è vero?
«Io lavoro con la Regione da molto prima che arrivasse lui. Il mio primo “appaltone” l’ho vinto all’inizio degli anni Ottanta».
Non è di destra, ma sulla scrivania ha un piccolo Balilla con un pallone sotto braccio.
«E che vuol dire? È il regalo di un uomo delle istituzioni».
Che cosa ne pensa delle dichiarazioni del portiere del Milan, Abbiati? Lui condivide alcuni “valori” del fascismo.
«Ognuno può avere le sue idee. Ma la politica non dovrebbe entrare nello sport. Io scelgo i giocatori anche stando attento a questo».
Paolo Di Canio, mentre giocava nella Lazio, salutò la Curva col braccio teso.
«Lucarelli del Livorno, lo fece col pugno chiuso».
Non è la stessa cosa.
«Se parliamo in punta di diritto e di Costituzione, ha ragione lei. Dal punto di vista sportivo… Negli stadi devono tornare legalità e correttezza, e devono uscire la politica e la violenza. Io credo nelle istituzioni e lavoro per cambiare così il calcio».
Legalità: qualche magagna ce l’ha pure lei. Le faccio un elenco?
«Faccia pure».
Moggiopoli e calciopoli…
«La Lazio è stata una vittima».
Lei e lo zio di sua moglie siete accusati di aggiotaggio, e cioè di aver fatto manovre illegali con le azioni della Lazio.
«C’è un processo in corso. Vedrà che risulteremo innocenti».
È stato beccato al telefono con Previti che le raccomandava il figlio portiere.
«Una cosa da pazzi. Hanno sbattuto quel ragazzo sui giornali. Pur essendo molto bravo, non ha giocato, anche dopo la telefonata».
Lei crede davvero che la Lazio possa vincere lo scudetto?
«Il calcio è 50% imponderabilità, 25% fattori economici, 25% scelte tecniche. Se ricorrono tutte le condizioni, al 100%…».
A cena col nemico?
«Veltroni. Vorrei capire da dove nasce questa avversione nei miei confronti».
Lei ha un clan di amici?
«Ammetto: il lavoro mi fa trascurare le amicizie».
Nel mondo del calcio con chi va d’accordo?
«Con Adriano Galliani ho un rapporto ottimo. Mi telefona e mi fa: “Claudiuccio, come stai?”».
Il presidente/premier Berlusconi lo conosce?
«Certo. Da molti anni. Dopo Milan-Lazio mi è venuto a dire che ho una squadra fortissima. Ed è sceso negli spogliatoi per fare i complimenti ai miei ragazzi. Un signore. Questo è lo sport».
Se l’attaccante Rocchi se ne volesse andare, corteggerebbe Totti o Ronaldinho?
«Nessuno dei due. Forse non ha capito lo spirito della Lazio. A me piacciono ragazzi come Zarate. D’oro».
L’ha scoperto guardando un dvd, mentre trattava altri giocatori.
«In realtà, lo seguivo da tempo. Ma è vero che, pur avendo uno staff, sto dietro a tutti gli acquisti».
Zarate era capellone. L’ha costretto a radersi?
«Sì. Quando l’ho visto, insomma…».
È vero che anche lui prende il Salary Cap. Lo stipendio lotitiano con tetto di 500.000 euro all’anno?
«Non ci sono eccezioni. Ma ci sono i premi. Se non ci crede, consulti i bilanci. Sono pubblici».
Al difensore Lequi, lei disse: «Ti ho portato a Roma, è stupenda, e vuoi pure lo stipendio?».
«Era il periodo in cui dovevo scardinare il sistema. Come suggerisce Bacone, ho fatto tabula rasa per ricostruire».
Riecco le citazioni.
«C’è sempre un nesso logico tra quello che dico e quello che faccio… Una delle citazioni preferite è “historia magistra vitae”. È quella che ha ispirato il mio primo discorso ai calciatori della Lazio».
Racconti, la prego.
«Sono entrato nello spogliatoio e ho pensato: “E mo’ che je racconto a questi. Je parlo de soldi? Ce li hanno. Di fama? Ce l’hanno”. Allora ho detto: “Da domani, voglio dodici gladiatori”. Li ho lasciati credere per un attimo che non sapessi nemmeno che a calcio si gioca in 11. E poi ho spiegato: “Il dodicesimo uomo è l’attaccamento alla squadra”».
E la historia magistra vitae che c’entra?
«Come, che c’entra. I mercenari non hanno mai vinto una guerra. Chi ha combattuto per un ideale ha fatto la storia».
La canzone della sua vita?
«Battisti era un grande laziale: Emozioni».
Il libro?
«Le faccio un excursus su tutta la letteratura come proposi alla commissione d’esame alla maturità?».
No, la prego. Basta un titolo.
«I Promessi sposi. La poetica manzoniana mi ispira».
È una lettura fatta molti anni fa?
«Più di trenta. Ma ascolti: l’utile per scopo, il vero per soggetto, l’interessante per mezzo. È quello che faccio io nel calcio, no?».
È il Manzoni del campionato.
«Ma Pascoli dove lo mettiamo?».
Me lo dica lei.
«Io sono un po’ fanciullino, senza sovrastrutture».
Manca solo D’Annunzio.
«D’Annunzio mi ha insegnato la sinestesia: l’uso dei sensi in contemporanea. Una volta ho cercato di spiegarlo a un cronista che mi faceva notare che parlo contemporaneamente con tre telefoni, mentre mangio e scrivo. Ma non ha capito la parola sinestesia. Ricorda La pioggia nel pineto?».
Ma cita solo letture del liceo?
«Io sono imbibito di queste letture».
Intriso.
«Il nostro habitus mentale viene da lì».
Il suo film preferito?
«Ben Hur. Cerco sempre di stare vicino ai più deboli. Non sopporto i soprusi».
Un santo. Cultura generale. Quanto costa un litro di latte?
«Non lo so. Non faccio la spesa».
I confini dell’Egitto?
«Non li so».
Il primo articolo della Costituzione?
«L’Italia è una Repubblica…».
…democratica…
«…fondata sul lavoro. Se non lo so io che lavoro venti ore al giorno!».

Categorie : interviste
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