Carlo Jean (Magazine – giugno 2008)

14 commenti

Ex alpino. Ex presidente del Centro alti studi per la difesa. Ex consigliere militare del Quirinale. Ex responsabile nazionale della gestione impianti nucleari. Il generale Carlo Jean, piemontese di Mondovì, 71 anni, pensionato febbrile che scrive, consiglia e insegna, mi accoglie in uno studiolo dalle parti di piazza Porta Pia, a Roma. Appena mi si siede davanti gli faccio notare che un suo ex collega, il generale Mario Arpino, si è detto perplesso di fronte all’utilizzo dei militari nelle città italiane. «E certo », dice Jean. «I militari in linea di massima preferirebbero fare i militari e non i poliziotti».
Anche lei è contrario, quindi?
«No. I soldati sono dei funzionari dello Stato e quando ci sono certe esigenze è giusto mobilitarli».
Oggi quali sarebbero queste esigenze?
«Ma ha visto che cosa sta succedendo in Campania? Ai tempi dei Vespri siciliani, quando le Forze armate furono inviate in Sicilia, non mi pare che ci siano state tutte queste polemiche».
Allora, nel 1992, la mafia aveva massacrato i giudici Falcone e Borsellino a colpi di bombe.
«Ora ci sono gli assalti dei cittadini inferociti ai campi rom…».
Che immagine è quella di un Paese costretto a usare i militari per motivi di sicurezza?
«Allo stato attuale, mi preoccuperei di un’altra immagine: i rifiuti ammonticchiati per le strade di Napoli che ci rendono ridicoli agli occhi del mondo ».
Di Pietro ha detto che i militari per strada si vedono solo in Colombia.
«Mi risulta che si vedano anche in Francia. Se poi in Italia le ronde miste saranno guidate da poliziotti non vedo proprio dove sia il problema».
Che senso hanno 3.000 soldati, quando in Italia ci sono più di duecentomila tra poliziotti e carabinieri?
«Il senso? Lo Stato dà un segnale forte all’opinione pubblica, e cioè: metto tutte le risorse possibili al servizio dei cittadini».
E se quello della sicurezza fosse solo un problema di percezione, magari dovuto all’allarmismo dei media?
«Quello della sicurezza è sempre un problema di percezione. Non è quasi mai un problema reale. Nel mondo, i morti per terrorismo ogni anno sono mille volte meno di quelli per incidenti stradali, e il costo dei danni per azioni terroristiche è marginale rispetto a quanto si spende per le misure antiterrorismo. Ma lo Stato deve garantire la sicurezza e rispondere alle emozioni».
In che senso?
«Se gli italiani hanno anche solo la sensazione di essere minacciati, lo Stato deve dare un segnale. E poi mi pare che in Campania i presidi militari delle discariche stiano funzionando».
Lei nel 2003 quando era commissario per la messa in sicurezza dei materiali nucleari ebbe problemi con la discarica di Scanzano Jonico.
«Problemi? Quella discarica non si fece proprio».
Le sarebbero piaciute un po’ di truppe al seguito?
«Ma no. Lì mancò il coordinamento tra centro e periferia. Le posso raccontare una cosa?».
Certo.
«All’inizio degli anni Ottanta, ero distaccato al ministero del Tesoro e Beniamino Andreatta mi diede l’incarico di valutare l’abitabilità di migliaia di palazzi dichiarati inagibili a Napoli dopo il terremoto. Essendo Napoli amministrata dal Pci, andai a parlare con Ugo Pecchioli…».
Lo storico dirigente comunista.
«Pecchioli si occupava dei problemi dello Stato. Dal suo ufficio telefonò al sindaco Maurizio Valenzi, e gli disse: “Ti mando il colonnello Jean che ti porterà i miei ordini. Sei tenuto a rispettarli”. Finita la telefonata, gli chiesi: “Ma quali ordini?”. E lui: “Faccia lei”. Ora questo collegamento tra centro e periferia è saltato. A Scanzano…».
Che fine hanno fatto le scorie che dovevano essere sepolte a Scanzano?
«Sono ancora in giro per l’Italia. Pericolosissime. Per fortuna a nessun terrorista viene in mente di andarsele a prendere».
Glielo ha suggerito lei in questo momento.
«La situazione è paradossale. Il responsabile di medicina nucleare dell’Umberto I di Roma un giorno mi chiamò per aggiornarmi. Nell’ospedale c’erano una quarantina di sorgenti attive».
Che cosa sarebbero?
«Macchine per le risonanze magnetiche che producono residui nucleari. Mi disse che potevo stare tranquillo perché le scorie erano conservate nello scantinato e la chiave la teneva sempre lui in tasca. Capito? E poi ci si preoccupa dell’energia nucleare».
Nucleare sì o nucleare no?
«Sì, ovviamente».
Gli anti-nuclearisti dicono: il nucleare di terza generazione è una tecnologia vecchia che non usa più nessuno.
«Ci sono 32 centrali in costruzione nel mondo».
Tra i Paesi che non ce l’hanno solo l’Italia e l’Iran aspirano al nucleare.
«In realtà c’è anche la Polonia. L’Iran lo vuole anche per non dover bruciare le riserve di petrolio».
Bush ha detto che la domanda di nucleare civile da parte dell’Iran è legittima. Stupito?
«No. Nonostante le apparenze, Iran e Usa sono culo e camicia ormai. I negoziati tra loro procedono alla grande e il nucleare iraniano è la garanzia per gli Stati Uniti di restare in quell’area per contrastare il presunto pericolo. Tornando al nostro nucleare, l’Europa non ne può fare a meno».
In realtà l’Europa punta su altro: l’obiettivo per il 2020 è di ridurre le emissioni del 20%, di aumentare del 20% l’efficienza energetica, di portare al 20% le fonti di energia rinnovabile.
«Sì, sì. Continuiamo così. E le nostre industrie scompariranno».
Qualche giorno fa Liberazione riportava in prima pagina questa citazione di Paul Valery: «L’Europa diventerà quello che in realtà è, un piccolo promontorio del continente asiatico».
«Condivido. Soprattutto se continuiamo con questa storia degli accordi di Kyoto e i tre 20 per cento del 2020. Cina e India se ne fregano di Kyoto».
Un Jean tremontiano.
«Con Giulio Tremonti ho scritto un libro (Guerre stellari, nel 2000) e nel suo ultimo volume sono citate le nostre passeggiate in montagna durante le quali parlavamo di geo-economia».
Le fate ancora?
«Le passeggiate sono il preludio alle scalate. Giulio è un buon arrampicatore, oltre che un ottimo sciatore».
Chi scia e arrampica meglio tra voi due?
«Ormai lui. Io ho un ginocchio fuori uso. Ma insomma, di entrambe le discipline io sono stato istruttore. Sa, dopo anni e anni negli alpini».
Perché ha deciso di fare il militare?
«Mio nonno materno era generale dei carabinieri. Mio padre non voleva, ma a 17 anni sono entrato in Accademia. Poi gli alpini».
Com’era il nonnismo anni Cinquanta?
«La cosa più brutta che ti poteva capitare nella cerimonia di iniziazione era il valzer delle candele».
Che cosa è?
«Be’, ecco… ti mettono una candela accesa nel sedere e devi fare qualche passettino. Era un’Italia rurale…».
Missioni.
«In Algeria, in Vietnam…».
Per fare che cosa?
«L’osservatore. Con il gruppo tattico Susa, in forza alla Nato, poi, eravamo in giro per il mondo 220 giorni all’anno».
Lei ha fama di falco interventista: gli italiani dovrebbero essere più presenti in Afghanistan?
«Se ci vanno gli altri, per forza. Serve anche per contare qualcosa nei negoziati internazionali».
Si investono vite umane per avere un peso politico?
«La Patria ha il diritto di utilizzare i suoi cittadini per l’interesse nazionale…».
Non esageriamo.
«Non possiamo pensare di essere apprezzati in campo internazionale dove Dio e la Guerra sono tornati a essere protagonisti, trasformando il ministero della Difesa in una succursale della Croce rossa. A meno che…».
A meno che…
«Non vogliamo fare la fine di Zapatero».
Che fine ha fatto Zapatero?
«Con quel ritiro delle truppe dall’Iraq ha fatto la figura di Badoglio. E non a caso è stato snobbato da Bush, nel suo tour europeo».
Madrid se ne farà una ragione. E comunque anche l’Italia se n’è andata dall’Iraq.
«L’ex ministro degli Esteri D’Alema è stato magistrale nel gestire quel ritiro delle nostre truppe deciso dal precedente governo».
Da ex militare: i migliori ministri della Difesa con cui ha avuto a che fare?
«Andreatta, con cui avevo un rapporto ottimo. E Arturo Parisi…».
Entrambi di area cattolica democratica.
«Aggiungo Antonio Martino».
Le hanno mai proposto di fare politica?
«Intende una candidatura in Parlamento?».
Sì.
«Un paio di volte. Andreatta per la Dc. E poi nel 2001, Forza Italia».
Lei ha un clan di amici?
«Avendo girato tutta la vita per caserme non ho molte amicizie radicate. Però si è formato un bel gruppo alla Luiss, l’università dove insegno dall’85».
Chi fa parte del gruppo?
«Gli ex ministri Antonio Marzano e Antonio Martino, Giancandido De Martin, Gaetano Quagliariello e altri ancora».
Tutti area Pdl. L’errore della sua vita?
«Quando non ho impedito l’arresto del capo di Stato maggiore della Repubblica Srpska, Momir Talic».
Uno dei criminali di guerra serbo-bosniaci?
«Proprio lui. Lavoravo per l’Osce, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Insieme con alcuni rappresentanti serbi, croati e bosniaci, nel mio studio viennese stavamo riscrivendo la dottrina militare della Bosnia Erzegovina. Quando il Tribunale per i crimini di guerra si venne a prendere Talic, lui era seduto a un metro dalla mia scrivania. Lo dovevo far scappare».
Come, scusi?
«Questi tribunali impediscono di costruire la pace».
Vuol dire che i criminali di guerra non dovrebbero essere puniti?
«Intanto mi dovrebbe dire chi non era criminale in quella guerra. E poi è cosa nota: nel secondo dopoguerra l’Italia si pacificò solo per merito dell’amnistia firmata da Togliatti. Se non fosse stato per lui stavamo ancora lì a massacrarci».
La scelta che le ha cambiato la vita?
«La fece Oscar Luigi Scalfaro, nel 1997, bocciando la mia nomina a segretario generale della Difesa, proposta dall’allora ministro della Difesa, Beniamino Andreatta. A quel punto partii per Vienna».
Perché Scalfaro respinse la sua candidatura?
«Avevo criticato il suo rapporto sulla gestione del terremoto in Irpinia. Lui era presidente della Commissione d’inchiesta. Cossiga mi volle con sé al Quirinale, come consigliere militare su segnalazione del dc Giuseppe Zamberletti. Ma a pensarci bene, forse, apprezzava anche quell’attrito con Scalfaro».
Lei era al fianco di Cossiga quando lo chiamavano il Picconatore?
«Altro che picconatore. Lui voleva salvare le istituzioni. Fece solo un grosso errore».
Quale?
«Nel ’91 non sciolse le Camere. Lo avrebbe dovuto fare per poi affidare, come in realtà voleva, l’incarico di governo ad Achille Occhetto».
Ma è sicuro? Occhetto propose l’impeachment di Cossiga…
«Ne sono sicuro. Il Presidente aveva in mente di accreditare gli ex comunisti come forza di governo».
In quel periodo Cossiga venne travolto dallo scandalo Gladio, l’organizzazione clandestina dei Servizi nata per contrastare un’eventuale invasione sovietica.
«L’unico scandalo di quella vicenda è che uscì fuori la notizia. Gladio faceva parte di un piano segreto di difesa dello Stato: sarebbe dovuto rimanere segreto».
Era anche lei un “gladiatore”?
«No. Ma conoscevo alcuni ufficiali del Sismi che facevano da collegamento con quella struttura. Guardi che in molti Stati, come la Svizzera o l’Austria, la difesa del territorio è organizzata così».
Già, ma molti pensano che in Italia Gladio divenne una struttura golpista e fondamentalmente solo anti-Pci.
«Mi sembrano teorie avventate».
A cena col nemico?
«Potrei andare a cena con Scalfaro. Anche se mi ha fatto un grosso torto».
Il libro della vita?
«Pensare la guerra, Clausewitz, di Raymond Aron».
Non mi stupisce. Il film?
«Non saprei».
Cultura generale. I confini dell’Afghanistan?
«Iran, Pakistan, Turkmenistan, Uzbekistan, Tagikistan e un pezzetto di Cina».
Record. È la prima volta che qualcuno li azzecca tutti. Quanto costa un litro di latte?
«Un euro e cinquanta. Io faccio la spesa e cucino. Sono un buon cuoco».
Specialità?
«Cinghiale. Pizzoccheri».
Robetta leggera.
«Roba da alpini. Che cosa credeva?».

Categorie : interviste
Commenti
giuliana 27 Aprile 2010

Il generale Jean: Un uomo con le pa…… bella intervista !

Fontana Sebastiano 11 Febbraio 2011

Un grande uomo, colto e intelligente. Militare perfetto,
Sono ORGOGLIOSO di essere stato suo segretario presso il IV Reparto dello SMD.
Ha ragione Giuliana, Lui non te la manda a dire, te la dice di persona: Un uomo con le palle!
Comandi Signor Generale, sempre ai Suoi Ordini!
1° Maresciallo Luogotenente FONTANA Sebastiano

Costa Paolo Ermes 1 Marzo 2011

Era il 1972 ed ero alpino nel Battaglione Susa alla Casema Berardi di Pinerolo,nella 35°Compagnia al comando del Capitano Cayre.Il Battaglione era allora comandato dal giovane Tenente Colonnello Carlo Jean.Lo ricordo con stima quando ,sci ai piedi come noi tutti, sorpassava la lunga colonna della mia compagnia in salita verso il Colle Bergia,lui in neve non battuta!Seguo tutt’ora con interesse i suoi interventi nei dibattiti televisi.Saluti generale.

Teodora 24 Marzo 2011

Ascoltaldo,ne sono rimasta affascinata,una figura essenziale,credo che come me,tante persone ignoranti in fatti di guerra,finalmente abbiamo potuto capire cosa ci sta succedendo,ma sopratutto i rischi che corriamo….grazie generale, acquisterò qualche suo testo, e,sono certa che mi darà la stessa gioia che ho provato nell’ascoltarla.Grazie

Mitico 14 Maggio 2011

1° Maresciallo Luogotenente FONTANA Sebastiano, si rilassi per cortesia, che il Generale è andato in ausiliaria…

Francesca ZAVATTARO ARDIZZI 18 Ottobre 2011

Quando Lei era ancora agli inizi della sua brillante carriera, mio padre – che conosceva gli uomini- la stimava molto. Come sempre aveva ragione !

Armando Ferrero 2 Maggio 2014

Sono stato nel 1974 alla caserma Berardi di Pinerolo come sergente della 35 compagnia del cap.Cayre Guido e con il ten.col Jean a comandare il battaglione.Ho un ottimo ricordo e conservo gelosamente foto con dedica del colonnello quando vincemmo gare di sci a Bousson.Lo saluto caramente.

Armando Ferrero 2 Maggio 2014

Sono stato sergente alla caserma Berardi di Pinerolo nella 35 compagnia con il cap.Cayre e il col JEAN a comandare il battaglione.Ho un ottimo ricordo del generale e conservo gelosamente foto con dedica di quando abbiamo vinto gare gista.Saluti generale

Alfredo Ardizzi 31 Gennaio 2015

Dalla Svizzera ho organizzato un convegno internazionale sulla Operation Sunrise, cioè una rivisitazione della capitolazione incondizionata tedesca che mise fine alla Seconda guerra mondiale in Italia. Fra i relatori anche il Gen. C.A. Carlo Jean spiccò nella chiarezza e risolutezza delle sue esposizioni, evidentemente confortate da una formazione militare composta di svariati e significativi valori umanitari.
Invito la lettrice, Francesca Zavattaro Ardizzi di prendere contatto con me. So che suo padre fu Addetto alla Difesa all’Abasciata d’Italia a Berna, Svizzera.
Carissimo Gen Jean, per il 70esimo Operation Sunrise sarò a Caserta per il 28 e 29 aprile 2015 stiamo in contatto e la informerò nel dettaglio. Oppure chiami UNUCI-Caserta. Affaire a suivre!
Frattanto cordiali saluti.
Cav. Alfredo Ardizzi

Antonio Faimali 22 Luglio 2015

Ho avuto l’onore di conoscerLo quando comandava il btg. Susa nel 1973 , allora era Tenente Colonnello , uomo tutto d’un pezzo rispettato da tutti gli Alpini , sovente era presente nelle marce .

Lucio Negri 7 Novembre 2015

anch’io sono stato alla 35 compagnia a Pinerolo nel 1974/5 con il capitano Cayre Guido e il comandante di battaglione Jean Carlo. Ero sergente di complemento proveniente dal corso ACS di Aosta. Jean Carlo un duro.. Uomo tutto d’un pezzo!!

Lucio Negri 7 Novembre 2015

Mi scuso per l’errore.. ma l’anno era 1973/4 anno in cui facemmo le manovre NATO in Danimarca.

Angelo GUIGUET 21 Novembre 2016

ho avuto l’onore di fare la staffetta ” personale” del Tenente Colonnello Carlo Jean nelle manovre invernali 1973 , manovre estive 1974 , manovre Nato in Norvegia Tromso e Narvik (manovre a tavolino per “austerity” crisi petroliera 73/74)..il generale si ricorderà sicuramente lo scivolone sul nevaio del mon- viso incidente senza conseguenze nell’estate del 74…Confermo i precedenti commenti: Uomo tutto di un pezzo !

Angelo GUIGUET 21 Novembre 2016

P.S. Mi piacerebbe poterLo salutare personalmente!!

Leave a comment