Luciano Violante (Magazine – aprile 2007)

0 commenti

C’è chi lo considera l’eminenza grigia del giustizialismo gauchista e chi lo vede semplicemente come un ex magistrato, law&order. C’è chi gli rinfaccia il vizio del ripensamento e chi gli riconosce avventurose riletture della storia con occhiali bipartisan. Fatto sta che Luciano Violante, 65 anni, diessino di lungo corso, ogni volta che apre bocca o scrive un libro, spalanca pertugi scabrosi nel dibattito del suo schieramento. È successo quando nel discorso di insediamento alla presidenza di Montecitorio ricordò «i ragazzi di Salò». Ed è successo con Uncorrect, un pamphlet preoccupato con cui Violante, ex dalemiano di ferro, che ora si definisce «violantiano critico», cerca di indicare i dieci passi da percorrere per evitare il fallimento del Partito democratico.
Passo 9: far entrare i giovani nella classe dirigente. Lei è alla Camera dal 1979.
«Ho già detto a Piero Fassino e a Massimo D’Alema che non ho intenzione di ricandidarmi».
Dicono tutti così, ma poi…
«Penso che mi dedicherò all’Università».
Largo ai giovani. Per legge?
«Il ricambio deve avvenire prima all’interno dei partiti».
Nella segreteria dei Ds su 17 membri solo 2 sono under 40. Pochini.
«Ai vertici delle Federazioni locali c’è molto ricambio».
Alla Camera, nel gruppo dell’Ulivo c’è un solo under 30 su 217 deputati.
«Ci stiamo lavorando. Ma sono contrario a una rotazione totale. È bene che qualche “vecchio” rimanga per passare l’esperienza ai nuovi arrivati. Io ho vissuto più di quanto mi resti da vivere. È normale che un trentenne sia più adatto a una funzione innovativa».
Innoviamo. Chi sarà il leader del Pd?
«Ci saranno le primarie».
Primarie vere? Sceglieranno i cittadini?
«Questa volta non credo che ci sarà spazio per le cortesie. Ma se si trova una candidatura condivisa…».
Il solito Walter Veltroni.
«O Fassino o D’Alema o Rutelli o Franceschini, che è giovane, capace e bravo».
Un nome su tutti?
«Anna Finocchiaro. Per motivi affettivi. E poi una donna al comando sarebbe un segnale importante».
Il Partito democratico dei sogni?
«Dovrebbe avere una dirigenza formata per un terzo da giovani, un terzo da donne e un terzo da “vecchi”. Ai giovani italiani dovremmo dire quale Paese abbiamo in testa per il futuro, invece di parlargli di Bettino Craxi. Ai nati nel 1980 che gli importa di Craxi?».
Lo chiede a me? È lei che ha infarcito il suo libro di ragionamenti su Craxi. Ha scritto che «il silenzio della politica di fronte alla sua chiamata di correo, ne ha fatto un capro espiatorio». Furio Colombo ha detto che gli sembrava di sentir parlare il berlusconiano Cesare Previti.
«La mia non è una riabilitazione. È una riflessione sul passato. Quando Craxi nel 1993 pronunciò il suo discorso sul malaffare diffuso e sul finanziamento illecito, io ero in aula. Si votava l’autorizzazione a procedere nei suoi confronti. La nostra reazione fu di dire: “Ora stiamo parlando di te, non di noi”. Invece sarebbe stato più utile riprendere il suo ragionamento».
Fassino ha detto che Craxi potrebbe stare nel pantheon del Pd.
«Fassino ha una famiglia con una lunga tradizione socialista. Ognuno ha il suo pantheon ideale».
Il pantheon di Violante.
«Antonio Gramsci e Primo Levi».
Primo Levi sembra una scelta veltroniana.
«Io con Primo Levi ho passeggiato nei sentieri di montagna. Metterei anche Walt Whitman… O capitano, mio capitano».
Anche lei è poeta. Ha scritto Secondo Qoelet, ispirato a un libro della Bibbia sulla vanità degli uomini. La vanità in politica?
«È indispensabile per chi vuole essere scelto».
Lei veste abiti firmatissimi di stilisti giapponesi.
«Compro solo alle svendite. L’eleganza è un modo per rispettare le persone. La domenica nelle sezioni del partito, soprattutto in provincia, sono tutti in giacca e cravatta».
Ci sono giacche e giacche. Ai compagni in provincia avete spiegato bene che i Ds si sciolgono? Come hanno reagito?
«Molti over 60 si sono adeguati con fiducia, perché era una decisione del Partito».
Soviet style.
«Altri sono preoccupati. E altri ancora temono di perdere l’identità».
Come Mussi e Salvi che invocano il legame con la tradizione socialista.
«Non ci si può opporre al Pd in nome di un ideale socialista contestato duramente quando il Psi era in vita».
Lei vorrebbe che i socialisti aderissero al Pd. Invece Boselli…
«… ha scelto di riaggregare i socialisti in una formazione autonoma. Mi pare sia una cosa ottima. La creazione del Pd spinge gli altri ad aggregarsi».
La volpe e l’uva. Perché Boselli non ha accettato il vostro invito?
«Ho l’impressione che ci sia sotto un po’ di rancore».
Molti socialisti considerano gli ex del Pci i loro carnefici?
«Credo che Boselli sia di quella generazione che pensava che il Pci, con la caduta del Muro, fosse liquidato. Una volta, a Bologna, mi disse: “Non avete futuro, ritiratevi nel ridotto emiliano. In futuro confluirete nel Psi”. Capisco che ritrovarsi con la situazione ribaltata…».
Insisto. Certi socialisti considerano proprio lei il capo del partito dei giudici che ha seppellito il Psi.
«È una falsità. Scrissi pure un intervento per dire che dovevamo stare attenti perché la magistratura non si doveva sostituire alla politica».
Si può scrivere qualcosa e poi lavorare dietro le quinte per realizzarne un’altra.
«Io sono un democratico. Quando la burocrazia prende il potere non è un bene».
L’ex senatore Ds Giovanni Pellegrino, ora presidente della provincia leccese, nel suo libro La guerra civile ha scritto che D’Alema pensava che Violante, con la sua influenza sui giudici, potesse proteggere il Pds.
«Pellegrino ha inventato. Non sa nulla di quelle vicende».
Lei ha detto che non ama il giacobinismo che produce vantaggi editoriali. A chi si riferisce?
«A Marco Travaglio, per esempio».
Nel Pd c’è chi ha rispolverato la formula «i meriti e i bisogni». Per primo la usò il socialista Claudio Martelli a Rimini, nel 1982.
«Io non sto simpatico a Martelli e la cosa è reciproca. Però lo considero uno dei migliori ministri della Giustizia che abbiamo avuto. E se dovessi fare un’antologia dei discorsi politici in Italia, quello ci starebbe».
Altre orazioni fondamentali?
«Aldo Moro: non ci faremo processare nelle piazze. Di Moro sono stato assistente all’Università di Bari a metà degli anni Sessanta».
In Uncorrect c’è una lunga citazione di Moro.
«Sulla difesa dei principi cristiani da portare avanti nella società e non con le leggi».
Un ammonimento per i suoi colleghi della Margherita.
«No. È una reazione a un articolo inaccettabile del quotidiano Avvenire in cui si minacciavano ritorsioni politiche contro i Dico. Il Vaticano fa il suo dovere quando si rivolge ai cattolici, ma quella minaccia dell’organo dei vescovi…».
Paola Binetti e Franco Grillini potranno convivere nel Pd?
«Oggi tutti i partiti sono plurali. Si può convivere e confrontarsi».
Binetti/Grillini è uno scontro, non un confronto.
«Io stesso su alcune cose non sono d’accordo con Grillini. Certo, devo ancora capire su che cosa sono d’accordo con Binetti, ma insomma…».
Casini ha corteggiato i cattolici della Margherita.
«Per quanto mi riguarda dovrebbero restare tutti nel Pd».
Ma gli ex diccì come Franco Marini non starebbero meglio coi centristi?
«No. Con le battaglie che ha fatto Marini per i lavoratori…».
E Beppe Fioroni?
«Fioroni non lo so. Ma Marini…».
Ciriaco De Mita: nel Pd o con i centristi?
«So che è scettico. Ma vorrei che rimanesse. È una delle tre principali intelligenze politiche rimaste in Italia».
Le altre due?
«Il socialista Rino Formica e Francesco Cossiga. Entrambi intuiscono prima degli altri i processi politici».
La gavetta.
«Sono nato a Dire Daua. In Etiopia. In un campo di concentramento inglese. Mio padre l’ho conosciuto quando avevo 5 anni, me lo presentarono il giorno di Pasqua del 1946. Alla stazione. Ho vissuto a Rutigliano, in provincia di Bari, infanzia e giovinezza: l’Ugi, l’Unione goliardica italiana, la carriera universitaria tra i libri di diritto penale scritti in tedesco con carattere gotico».
Chi c’era allora nel Pci barese?
«Beppe Vacca. Nel Msi, invece, c’era Pinuccio Tatarella. Lo stimavo. Era un fasciomoroteo un po’ isolato in un partito pieno di picchiatori».
Poi il trasferimento a Torino.
«Con mia moglie. Nel 1968 eravamo la prima coppia di magistrati sposati».
La Torino delle lotte operaie.
«Io il Sessantotto l’ho fatto dalla parte dello Stato».
Prima condanna inflitta?
«Un ragazzo che aveva detto piciu (fesso) a un vigile».
Poi si è occupato di terrorismo.
«Il brigatista Patrizio Peci ha raccontato che un giorno erano venuti a spararmi, ma non lo fecero perché stavo con mio figlio. Un’altra volta quelli di Prima Linea mi tesero un agguato all’Università. Mi salvò Pietro Piantino, della scorta del partito: mi diede una spinta e mi fece entrare in macchina. Roberto Sandalo, l’ex terrorista, ha confermato ai giudici il loro piano».
Che effetto le fa vedere Sergio D’Elia, ex Prima Linea, alla Camera?
«A me dispiace solo l’ostentazione degli ex terroristi che montano in cattedra».
Di chi parla?
«Di Renato Curcio e degli altri».
A proposito di Br. Fassino ha fatto marcia indietro sulla linea della fermezza del Pci durante il rapimento Moro.
«Fassino non visse da dentro quella vicenda. E lui è più disposto a ricredersi umanamente su certe cose. Io sono più duro. È un mio limite».
In quel periodo mise in carcere Edgardo Sogno per la vicenda del Golpe bianco. Sogno, medaglia d’oro della Resistenza, venne prosciolto. Nessun ripensamento?
«No. Fu sbagliato il proscioglimento. Lo stesso Sogno ha ammesso che stavano complottando…».
Nel 1979 lasciò la magistratura per la politica. Eletto nel Pci.
«Continuai a occuparmi di giustizia».
Già. Nel 1994 si dovette dimettere dalla presidenza della Commissione Antimafia per un’intervista al giornalista Augusto Minzolini in cui preannunciava l’arresto di Marcello Dell’Utri.
«Quelle cose non le avevo mai dette. Querelai La Stampa. Ma le mie dimissioni furono inevitabili».
Se non aveva mai detto quelle cose, perché le dimissioni erano inevitabili?
«Me le chiese il segretario Achille Occhetto».
Ubi maior… Giochiamo. A cena col nemico?
«Con Berlusconi no: le barzellette scollacciate non mi piacciono. Direi Casini… o anche Fini».
Il miglior ministro del precedente governo?
«Beppe Pisanu. Ha superato le aspettative».
Il ministro meno efficace, oggi?
«Non ho capito bene che cosa stia facendo Di Pietro… A parte occuparsi delle cose altrui».
In Francia avrebbe votato Royal o Bayrou?
«Scherza? Royal, ovviamente».
I suoi futuri compagni di partito della Margherita erano per Bayrou. Il Pd come si sarebbe schierato?
«Ora siamo due partiti e abbiamo opinioni distinte. Se fossimo un solo partito avremmo una sola opinione, che verrebbe fuori da un voto».
Quale opinione?
«Ségolène Royal».
Delete. Cancelli un numero dal suo cellulare. Fabio Mussi o Beppe Fioroni?
«Cancello Fioroni. Poi tanto lo ritrovo nel Pd…».
… a differenza di Mussi. L’ultralaico Capezzone o il teodem Carra?
«Cancello Capezzone. È bravo, ma pensa di avere sempre ragione».
Cultura generale. Che cos’è YouTube?
«Un canale televisivo con video di tutti i tipi».
Più che un canale un sito. Sa che se digita «Violante» su YouTube viene fuori il video di lei che alla Camera nel 2002 dice: «Berlusconi nel 1994 sapeva bene che non avremmo toccato Mediaset»? Roba da far imbufalire il più mite dei girotondini.
«Parlavo del periodo in cui, dopo il ribaltone, c’era un governo tecnico, non politico, con un programma che non prevedeva leggi su quegli argomenti».
Sarà. Ora che cosa ne pensa del possibile accordo Berlusconi-Colaninno per comprare Telecom?
«C’è un mercato. Ma se Berlusconi intende fare di nuovo il leader politico dovrà assoggettarsi alla legge che stiamo facendo sul conflitto di interessi».
Quanto costa un pacco di pasta?
«Dipende dalla qualità. Circa tre euro».
90 centesimi.
«Vuol dire che al supermercato prendo qualche fregatura».
Quali sono i confini dell’Afghanistan?
«Iran, Pakistan, Iraq…».
No, Iraq no. A nord ci sono le ex Repubbliche sovietiche. Tu chiamale, se vuoi, rimozioni.

LINK:
Lo studio di Luciano Violante a Montecitorio è zeppo di libri e libretti. I suoi, negli ultimi anni, sono stati pubblicati tutti da Piemme. Un’editrice cattolica. Come mai? Anche Violante comincia a muoversi all’ombra del Vaticano? «No. Io sono credente, ma non cattolico. Mi hanno cercato loro, quando hanno saputo delle mie poesie ispirate a Qoelet». Scherzo sulla coincidenza dell’ex magistrato che pubblica con Piemme (pm!). Poi Violante mi dà il suo indirizzo e-mail: «md…@…». Se due indizi fanno una prova, due coincidenze fanno un destino. Domando: «md sta per magistratura democratica?». Mi guarda un po’ stupito: «Ovviamente».

Categorie : interviste
Leave a comment