Antonio Di Pietro (Magazine – aprile 2007)

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Antonio Di Pietro, 56 anni, è il padre della madre di tutte le «opoli»: Tangentopoli. 1992. Grazie a quell’inchiesta divenne il pm più osannato del Paese. Otto italiani su dieci si dicevano dipietristi e, se avessero avuto la possibilità, lo avrebbero fatto presidentissimo, malgrado i congiuntivi claudicanti. «Tonino fa arrivare puntuale il Pendolino», scriveva il settimanale satirico Cuore. E qualcuno ci credeva davvero. Lo soprannominarono pure «Dio toga» e, a Napoli, gli dedicarono una delle prime statuine politiche del presepe. Poi vennero: la proposta, rifiutata, di fare il ministro dell’Interno nel governo Berlusconi I, le accuse di abuso d’ufficio, la cooptazione per pochi mesi nel Prodi I, l’elezione blindata nel collegio del Mugello, la creazione del suo personalissimo movimento (l’Italia dei Valori), l’adesione/delusione all’Asinello, le elezioni fallimentari del 2001 e l’alleanza, finita in tribunale, con Achille Occhetto alle Europee del 2004. Ora Di Pietro fa il ministro delle Infrastrutture. E guida un drappello di una ventina di parlamentari. Ma la toga ce l’ha ancora avvolta intorno all’anima. Come un turbante. Te ne accorgi appena gli fai un accenno alle inchieste di Vallettopoli. E a quella che molti hanno considerato una domanda stramba che il pm Woodcock avrebbe fatto a Simona Ventura.
Perché Woodcock è andato a chiedere a Simona Ventura se era a conoscenza di un amante di Cristina Parodi?
«Ogni domanda di un investigatore va contestualizzata».
Sì, ma questa sembra particolarmente pruriginosa.
«A me è capitato molte volte di cominciare un interrogatorio porgendo quesiti che non c’entravano nulla. Bisogna vedere dove ha portato la progressione di domande».
Una definizione di Vallettopoli.
«Vallettopoli è l’aspetto più spettacolare di un fenomeno di degenerazione del potere fine a se stesso. Bisogna distinguere caso per caso: c’è l’estorsione, lo sfruttamento della prostituzione e purtroppo…».
Che cosa?
«Ci sono anche tanti casi di decadimento morale di giovani donne che si svendono per un successo effimero».
C’è anche una presenza inusuale dei trans: dalla notte tragica di Lapo Elkann alla sosta estiva di Sircana, fino alla festa in barca a Capri. Una moda?
«Semmai è libertà. Io considero un grave atto di arretratezza culturale il voler censurare quel che fanno gli altri sotto le lenzuola».
Giusto. Ma lei, i trans…
«Non sono esperto del settore».
Qualche mese fa è finito pure lei sulla copertina di Novella 2000.
«Una foto innocua. Sono in buona fede».
Era in compagnia di una signora bionda. Qualcuno ha cercato di venderle lo scatto?
«Ma figuriamoci. Chi ha visto la scena sa che eravamo un gruppo di amici. Tornando a Vallettopoli invece…».
Dica.
«È come se in una ubriacatura di potere anche le quinte file si fossero sentite in potere di pretendere qualcosa da qualcun altro. Mi pare che gli scandali finanziari e bancopoli siano fatti ben più gravi».
Danilo Coppola, in carcere, si è ferito un braccio con un vetro. Che effetto le ha fatto questa notizia? Durante le inchieste di Mani Pulite ci furono quattro suicidi.
«Il problema non è che cosa succede quando una persona viene messa in carcere. C’è sempre una sofferenza e un dramma personale. Il problema è perché una persona finisce in carcere. Sarebbe importante capire che cosa è necessario fare per evitare che persistano tutti questi filoni di malaffare».
Non è cambiato nulla dai tempi di Tangentopoli?
«Dopo 15 anni, a bocce ferme, posso dire che non c’è nulla di nuovo sotto il sole: la Prima Repubblica, nella struttura dei rapporti tra politica e affari, non è finita. Anzi, si è ingegnerizzata. Solo che, oggi, fatti riprovevoli non sono più penalmente rilevanti. Manca la forza morale di chi fa le leggi».
Si riferisce ai suoi colleghi parlamentari.
«Certo. Fino a poco tempo fa, su mille parlamentari ce ne erano più di cento con problemi di giustizia. Una percentuale che non si incontra nemmeno nelle peggiori favelas brasiliane».
Ora i condannati sono 25.
«A cui bisogna aggiungere i prescritti e gli indultati».
Si dovrebbero dimettere?
«Ho presentato più volte una norma semplice semplice: i condannati in via definitiva non possono essere candidati ad alcuna carica elettiva. Sono compresi gli ex terroristi».
Si riferisce a Sergio D’Elia della Rosa nel Pugno?
«A gente come lui, o ad altri soggetti moralmente censurabili come quelli che urlano slogan tipo 10, 100, 1000 Nassiriya».
Parla del No Global Francesco Caruso? Lei ha già detto che come alleato gli preferisce Tabacci dell’Udc. Ma anche Tabacci ha avuto guai con Tangentopoli.
«Lui si è difeso nel processo e ha dimostrato la sua innocenza».
Lei ha parlato anche di una sua possibile alleanza con l’Udc di Tabacci e di Casini. Lorenzo Cesa, il segretario dei centristi, è reo confesso di tangenti.
«Ho spiegato che il presupposto di questa alleanza sarebbe un ricambio di classe dirigente».
Una soluzione poco credibile.
«E allora, visti i presupposti inaccettabili, vuol dire che l’alleanza non funzionerà. Aggiungo una cosa sui parlamentari: anche cambiando la Costituzione, si dovrebbe introdurre la norma anti-voltagabbana. Chi cambia schieramento e tradisce il rapporto con i cittadini deve rimettere il mandato».
È quel che chiede di fare al senatore Sergio De Gregorio, eletto con lei e passato col Polo?
«A De Gregorio, che è come Giuda, è inutile chiederlo. Non ha sufficiente senso della responsabilità».
E Marco Follini, eletto con la CdL, che ora vota con la maggioranza di Prodi?
«C’è una bella differenza tra Follini e De Gregorio. Follini, in contrapposizione con Berlusconi aveva lasciato la segreteria dell’Udc due anni fa».
Ma il rapporto con gli elettori di Follini?
«Diciamo che se io maturassi l’idea di separarmi dalla coalizione con cui sono stato eletto, mi dimetterei».
Una volta lei ha detto che da uno come Paolo Cirino Pomicino, o’ ministro, politicamente c’è da imparare.
«I politici della cosiddetta Prima Repubblica per arrivare alla vetta dovevano fare decenni di praticantato. Da qui a dire che apprezzo Pomicino ce ne passa. Perché aver svenduto la propria qualità politica per me è un’aggravante. Certo, ora diventano importanti anche molti personaggi in cerca d’autore».
Qualche nome?
«Le faccio i nomi di chi apprezzo: Dario Franceschini, Enrico Letta, Pierluigi Bersani, Giuseppe Lumia…».
Sono tutti dell’Ulivo. Cerca di accreditarsi col Partito democratico?
«Ho già provato a entrare tre anni fa».
Già. Ai tempi del Triciclo: il socialista Boselli non volle aprire le porte a Di Pietro. Lei d’altronde nel 2000 si era rifiutato di dare la fiducia al governo Amato.
«Ora posso dire con serenità che Amato è uno dei ministri più competenti del governo».
A proposito. Non tutti i suoi colleghi hanno apprezzato i suoi bollettini su YouTube con cui fa il resoconto di quel che succede nel Consiglio dei ministri.
«Quando ero magistrato e usavo i computer per interrogare in rete gli indagati, i togati anziani mi rimbrottavano: “Le sentenze si scrivono con la penna stilografica”. Oggi gli uffici giudiziari non potrebbero vivere senza i pc».
Ora lei è pure in Second Life.
«Intendo usare il mio avatar per sperimentare decisioni con un giorno di anticipo rispetto alla “First Life” e valutare le reazione degli internauti».
Nel frattempo la sua isola virtuale è stata invasa da una folla di manifestanti che protestavano contro di lei.
«Prima o poi bisognerà mettere dei paletti anche lì. Tra le regole di comportamento si dovrà introdurre pure il rispetto della proprietà privata, o no?».
Nella Second Life vuol tornare a fare il poliziotto? Lei ha mai ammanettato qualcuno?
«Certo. Moltissime persone».
Ha mai sparato?
«Sì. Una volta a Milano, alla fine degli anni ’70, io e un collega ci trovammo in mezzo a una rapina. I banditi ci sparavano. Noi sparavamo in aria. Più che altro per paura».
Anche suo figlio Cristiano fa il poliziotto. Maurizio Gasparri, qualche anno fa contestò il suo trasferimento vicino casa.
«Mio figlio ha una moglie che non lavora e tre gemelli. Ha 15 anni di servizio e ne ha dovuti aspettare 4 più del normale per avvicinarsi un minimo al suo paese d’origine».
Dove ora è anche consigliere comunale. È vero che è venuto a chiederle di perorare la causa paesaggistica contro il parco eolico che è in progetto in Molise?
«È venuto in quanto consigliere. Non ha chiesto nulla per sé. Non si tratta di nepotismo…».
Lei si racconta come l’uomo del fare, e poi si oppone all’energia eolica, appena suo figlio le chiede di intervenire?
«Io sono a favore dell’energia eolica. Che la facciano anche in Molise. Gli regalo i terreni di mio padre per farla».
Non funziona così.
«Beh, si trovi un altro posto. Non vedo perché si debba rovinare tutta la spiaggia della regione».
A cena col nemico.
«Con Bin Laden non ci andrei di sicuro. E di nemici…».
Vabbé. A cena con un avversario.
«Non con Berlusconi. E nemmeno con i berluschini».
I berlus…chi?
«Quella pletora di personaggi che gli stanno intorno e con cui ho a che fare da quando facevo il pm».
Parla degli avvocati del Cavaliere?
«Parlo di Brancher e compagnia bella. Invece sarei onorato di confrontarmi con persone come Fausto Bertinotti, o come Tabacci, o come Gianfranco Fini».
En plein. Sinistra, centro e destra. Intervistato da Bruno Vespa o da Lucia Annunziata?
«Da Vespa sono andato più volte. Ma chiunque mi intervisti io non mi tiro indietro».
Vediamo. Ospite da Serena Dandini o da Pippo Franco?
«Da Serena Dandini».
Metamorfosi. Ma lei l’anno scorso è stato al Bagaglino e si è pure fatto tirare una torta in faccia.
«Ogni tempo al suo tempo».
Cioè?
«Da ministro non ci vado più».
Da ministro che televisione guarda?
«Molta dal canale 400 in poi… National Geographic, History Channel…».
Delete. Cancelli un numero dal suo cellulare. Marco Follini o Clemente Mastella?
«Tengo Follini. Tanto il cellulare di Mastella lo so a memoria».
Mi dica le prime cifre, che controllo.
«335213… Posso aver sbagliato, ma di poco».
Mastella non è il politico con cui litiga di più?
«Io non ce l’ho con Mastella. Mi è simpatico e gli riconosco un’intelligenza politica incredibile».
Ma quando Mastella promette di aprire la scuola di magistratura a Benevento, lei non sente odore di clientela?
«Non veddubbio che un ministro deve ragionare sempre in termini nazionali. Però mi viene in mente un democristiano del passato che ha fatto politiche clientelari senza marciarci sopra: Remo Gaspari».
Talmente clientelare che era soprannominato il Duca degli Abruzzi.
«Ha portato progresso nella sua regione».
Ancora delete. Bertinotti o Oliviero Diliberto?
«Non rispondo».
Come? Lei non si tira indietro!
«Rispondere sarebbe cadere in un trabocchetto».
Paola Binetti o Franco Grillini?
«Non ho mai avuto il numero di Grillini, né gliel’ho mai chiesto, né mai me lo darà. In vita mia non ho mai avuto occasione di contatti ravvicinati di questo tipo».
Fin troppo chiaro. Il socialista Bobo Craxi o l’ex diccì Beppe Pisanu?
«Risposta facile. Ma non gliela do».
La immagino: come è stato Pisanu come ministro dell’Interno?
«Ha fatto il ministro con dignità e impegno».
Appunto. Cultura generale. Angolo della massaia. Quanto costa un pacco di pasta?
«Dipende dalla marca. Io di solito prendo la Molisana».
E quanto la paga?
«Due euro al chilo».
Giusto. Un litro di latte?
«Novanta centesimi».
No. Un euro e venti circa.
«Sicuro? Guardi che io ci vado davvero a fare la spesa. Lo può chiedere a quelli del supermercato di via Briantea a Curno. Sono lì tutti i sabati tra le 11 e mezzogiorno».
Con quali Paesi confina l’Afghanistan?
«Innanzitutto col Pakistan. Poi l’India…».
No, l’India no.
«L’Iran. L’Iran».
Ultima: il participio passato del verbo «esigere»? Se mi dice esatto c’è un premio.
«Preferisco non rischiare, piuttosto che schiantarmi…».
La risposta è «esatto».
«Allora lei mi dica l’infinito di io miro, tu tiri, voi virate…».
Come scusi?
«Irarsi. Scriva, scriva…».

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Mentre Di Pietro elenca gli innumerevoli mestieri della sua vita (tornitore in una fabbrica tedesca di acciaio, gelataio nel quartiere Parioli, collaudatore di caldaie ecc.), mi viene in mente che una delle domande che i contestatori su Second Life gli hanno fatto è: chi c’è dietro il suo Avatar, il suo alterego informatico? E i suoi collaboratori sono regolarizzati o pagati in nero? Giro le domande al ministro. E lui, rivolto al portavoce Gianni Occhiello, che compare da una porta: «Diglielo tu». Occhiello per poco non tira fuori il contratto. Ma l’avatar del ministro chi lo muove? «Eheh», ridacchia Tonino, «una società informatica. Che fattura».

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