Carlo Cottarelli (Sette – giugno 2015)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera il 12 giugno 2015).
Carlo Cottarelli, 60 anni, cremonese, cresciuto tra le mura romane di Bankitalia e quelle americane del Fondo monetario internazionale (Fmi), è stato per un anno il nostro Commissario straordinario per la revisione della spesa. Un anno sull’altopiano degli sprechi pubblici, nella trincea della spending review, dove prima di lui, come foglie d’autunno, erano caduti Enrico Bondi e Mario Canzio. Il dossier Cottarelli è stato spesso sventolato come l’ultimo antidoto salvifico al veleno degli sprechi italiani. Lui minimizza: «Ho solo dato qualche raccomandazione. Alcuni suggerimenti. Ma poi è la politica a dover prendere le decisioni». Quando gli chiedo se il suo allontanamento dall’incarico, nell’ottobre 2014, sia stato il figlio politico delle divergenze d’opinione con il premier Renzi sulle sforbiciate da dare, scuote la testa e nega: «Dopo un anno ho capito che il ménage familiare Roma-Washington non era sostenibile. Ho passato il testimone a persone molto competenti». Il dossier ora è nelle mani degli economisti Roberto Perotti e Yoram Gutgeld, renziani in servizio a Palazzo Chigi.
L’intervista si svolge via Skype. Cottarelli si collega da una stanza spoglia del Fmi, a Washington. Scandisce le parole con lieve cadenza lombarda. Oltre alle centinaia di pagine frutto dei venticinque gruppi di lavoro che hanno collaborato con lui, lascia ai tagliatori di sprechi un volumetto Feltrinelli, appena pubblicato: La lista della spesa – La verità sulla spesa pubblica italiana e su come si può tagliare. Duecento pagine gonfie di dati («Ma senza tabelle») con tutto quello che c’è da sapere sulla spesa pubblica italiana: la giungla selvaggia delle municipalizzate, l’orrore della corsa all’auto blu, le molte leggende metropolitane che andrebbero sfatate. Chiedo: qual è la più ingombrante tra le leggende? Replica: «Quella che descrive la nostra spesa pubblica come fuori controllo». Non è così? «No. Dal 2009 ci sono stati alcuni tagli considerevoli». E allora perché i cittadini hanno spesso la sensazione di avere a che fare con una Pubblica Amministrazione sovradimensionata e fannullona? «Perché c’è ancora molto da fare. Ed è capitato che molti dei tagli fatti, per esempio quelli alla Sanità e all’Istruzione, fossero troppo lineari, cioè distribuiti in egual modo tra chi è efficiente e chi no».
Altre leggende metropolitane sulla nostra spesa pubblica?
«Lo Stato distribuisce 270 miliardi all’anno in pensioni, grosso modo un terzo dell’intera spesa. Uno dei miti metropolitani è che le pensioni e i pensionati abbiano già dato».
E invece…
«Invece ad aver già dato sono le generazioni che andranno in pensione con il sistema contributivo. Dal 2007, in termini di potere d’acquisto, il reddito pro capite degli italiani è sceso del 10%, mentre il potere d’acquisto dei pensionati è stato in buona parte protetto. Il che è giusto per le pensioni più basse, ma non per tutte».
Lei ha fatto un paio di proposte sulle pensioni.
«Prevedono un contributo o un adeguamento da parte di chi ha una pensione alta ottenuta con il sistema retributivo».
È una soluzione auspicata anche dal sottosegretario Enrico Zanetti e da Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia. Non siete un po’ crudeli con questi anziani pensionati e con i loro diritti acquisiti?
«Il sistema così com’è è distorto. E bisogna uscire dal circolo vizioso».
Quale circolo vizioso?
«Quello per cui non si tagliano le pensioni anche perché costituiscono il risparmio con cui i nonni aiutano i figli e i nipoti disoccupati. Ma quella disoccupazione è dovuta anche al fatto che per pagare le pensioni si devono tenere le tasse talmente alte da impedire una vera ripresa».
I vitalizi.
«Quello è un esempio di incredibile generosità di Stato. Si sta cercando di fare qualcosa, ma soprattutto a livello locale ci si scontra con i ricorsi di chi non vuole rinunciare a certi privilegi».
A proposito di privilegi, lei nel suo libro descrive una Roma in cui ci si muove con l’auto blu anche per fare 300 metri.
«La difficoltà più grande è far capire ai dirigenti della PA italiana che nel resto del mondo “avanzato” non è così. La normalità, in Francia, in Germania e nel Regno Unito, è un’altra. L’auto blu è uno status symbol diffuso irrinunciabile nelle democrazie meno sviluppate. Bisogna solo capire con chi ci vogliamo confrontare. Per fortuna con il decreto del 2014 si sta facendo qualcosa in quest’area».
Ha ricevuto proteste dirette per i suoi attacchi alle auto blu?
«No. Ma l’atteggiamento comune è: sono disposto a rinunciare, se rinunciano tutti. Io per dare l’esempio ho rifiutato auto e autista».
In compenso lei è stato attaccato per lo stipendio.
«Hanno fatto male i conti e sono venute fuori cifre improbabili. Il mio stipendio è online: ho cominciato con 256.000 euro lordi all’anno e poi sono sceso a 240.000 come previsto dal tetto massimo per i dirigenti pubblici».
Suo padre era un dirigente pubblico della sanità cremonese. Sua madre un’insegnante. Non è che ha anche lei un baby-pensionato in famiglia?
«Ahah, no. Mia madre ha insegnato solo fino al momento della mia nascita e non ha mai ricevuto alcuna pensione».
Mi racconta la sua infanzia?
«Per un po’ ho fatto vita di parrocchia: avevamo una squadra di calcio che si chiamava i Diavoli rossi. Giocavo in porta. A 13 anni ebbi uno choc: presi otto gol in un’unica partita e smisi di giocare».
A Cremona c’era il leggendario terzino Antonio Cabrini, suo coetaneo.
«Ero in classe col fratello. Un giorno venne a fare una partitella con noi. Battemmo la sua squadra 9 a 1, ma lui non era concentratissimo».
Ha mai fatto politica?
«No. Negli anni Settanta ero uno di quelli che entrava in classe malgrado ci fossero manifestazioni e contestazioni».
Era secchione e disinteressato?
«Ero anticonformista. La maggioranza degli studenti contestava, io andavo controcorrente. Dopo il liceo andai a studiare Scienze economiche a Siena. E poi, con una borsa di studio, presi un master alla London School of Economics».
Nel 1981 è entrato nel Centro Studi di Bankitalia. Ci è rimasto sette anni.
«Avevamo ritmi di lavoro molto pesanti. Si sentiva di far parte di un gruppo di persone con grosse responsabilità. Dopo una breve esperienza all’Eni, poi, mi trasferii a Washington, al Fondo monetario internazionale».
Ci è rimasto per più di 25 anni. I suoi figli si sentono americani?
«No, ma hanno qui la loro vita. Nicolò ha 23 anni, si è laureato a Princeton e ora lavora a New York. Elisa ha 20 anni e studia in California alla Ucla”.
A cena col nemico?
«Mi dà fastidio definire qualcuno nemico».
Dica il nome di qualcuno che ritiene lontano da lei con cui però andrebbe a cena.
«Andrea Agnelli».
Gli Agnelli, il mercato automobilistico…
«No, no. La Juventus. Io sono interista sfegatato».
Ha un clan di amici?
«Ho amici a Roma e a Washington. Il più grande era Curzio Giannini, economista in Bankitalia, che purtroppo è morto una decina di anni fa».
Qual è la scelta che le ha cambiato la vita?
«Venire negli Stati Uniti alla fine degli anni Ottanta».
L’alternativa quale era?
«Avevo fatto due colloqui con Cesare Geronzi per andare alla Cassa di Risparmio, ma Miria, mia moglie, a Roma non si trovava bene e quindi…».
L’errore più grande che ha fatto?
«Non essermi dedicato di più alla chitarra. Ora strimpello. Mi sarebbe piaciuto imparare a suonare meglio. Qualche giorno fa, qui a Washington, abbiamo organizzato una Festa della Repubblica alternativa, con canti e cori».
Il repertorio?
«Cantautori italiani assortiti: Battisti, De Gregori, Guccini… E qualche pezzo resistenziale. Bella ciao e le altre».
Da ragazzo aveva una band?
«Ce l’avevo a Roma, coi colleghi di Bankitalia. Ci chiamavamo i White Noise. Suonavamo le canzoni di Enrico Ruggeri e di Fausto Leali».
La canzone preferita?
«Azzurro di Paolo Conte».
Il film?
«Orizzonti di gloria di Stanley Kubrick».
Il libro?
«La coscienza di Zeno. È un libro molto vero. Privo di retorica. Io non sopporto la retorica».
Il volume che darebbe in mano a un ragazzo per capire come va l’economia mondiale?
«Quelli di Paul Krugman. Anche se ultimamente si è un po’ estremizzato».
Che cosa guarda in tv?
«In questo momento? Game of Thrones. Ho divorato le prime quattro serie in dvd e ora mi godo in diretta la quinta”.
Sa quanto costa un litro di benzina?
«In Italia? Un euro e settantacinque circa».
I confini della Libia?
«Tunisia, Egitto, Niger, Sudan…».
Conosce l’articolo 1 della Costituzione?
«L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro».
È anche “democratica”. Quale parola aggiungerebbe alla Costituzione?
«Sobrietà».

Categorie : interviste
Commenti
Livia Velani 12 Giugno 2015

bravi tutti e due! Molto interessante perché non c’è le mandi altre?? Ciao

Francesca 12 Giugno 2015

Un altro articolo contro i pensionati. Torna di scena Cottarelli che pubblicò nella sua “spending review” alcune pagine sulle pensioni facendo un confronto VERGOGNOSO con le pensioni tedesche basato su mezze verità mistificanti.
Lo scopo è sempre lo stesso:
tagliare le pensioni dando ai pensionati tutte le colpe di questo mondo; questa volta la colpa è quella di “impedire la ripresa”.
E tutto ciò in un paese divorato dalla corruzione che vediamo tutti i giorni e con evasione da record.

Non hanno voglia di cercare i veri privilegi dove sono ed i pensionati sono una comoda vittima designata.

VERGOGNA!!

Cinzia 12 Giugno 2015

intervista sobria, intelligente, utile a conoscere i retroscena

patrizia 28 Luglio 2015

Cottarelli persona di grande spessore…… intervista molto carina!!

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