Roberto Zuccato (Sette – settembre 2014)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera, il 5 settembre 2014)
È il paladino delle piccole e medie imprese. Nonché l’uomo che ha sradicato Bruno Vespa dal palco tivvù del premio Campiello. Roberto Zuccato, 62 anni, pizzo bianco e cadenza vicentina, è il Presidente della Confindustria veneta e della competizione libresca che si tiene sulle sponde della Serenissima. L’intervista si svolge via Skype. Zuccato è appena rientrato dagli Stati Uniti. È andato a trovare il figlio Stefano, che come lui è ingegnere e che sta facendo uno stage nella Silicon Valley. Mentre parla ha gli occhi gonfi di America: «Lì gira tutto il mondo. Lì si vede il futuro del pianeta». Chiedo: «È stato deprimente rientrare in Italia?». Entra immediatamente in modalità istituzionale: «Ce la possiamo fare anche noi, ma dobbiamo cambiare, puntare sul nuovo manifatturiero e dare valore aggiunto al Made in Italy».
Dopo qualche minuto che parliamo, Zuccato si rivela sorprendentemente renziano. Gli domando se non sia preoccupato dai ritardi sulla tabella di marcia del governo. Replica: «Guardi che riuscire a portare a casa la riforma del Senato è fondamentale».
Alle piccole imprese venete perché dovrebbe interessare la riforma del Senato? C’è ancora la crisi.
«Accorciare i tempi e i passaggi parlamentari è necessario per governare e prendere le decisioni giuste evitando il pantano delle lobby».
Decisioni e lobby. Nel derby tra un maggior taglio dell’Irap e gli 80 euro…
«Io mi ero espresso a favore degli 80 euro».
Gli 80 euro non hanno rilanciato la domanda interna, come auspicato.
«Ma sono serviti a pagare qualche bolletta che altrimenti non si sarebbe potuta pagare».
Si fermi. Lei ormai è un ultrà del presidente del Consiglio.
«È Renzi che si sta rivelando un ultrà zuccatiano, eh eh. Anche sull’istruzione sta andando nella giusta direzione: punta sull’intreccio scuola/lavoro. Io lo dico da anni. E poi il premier sulle infrastrutture della nostra regione sta facendo quello che ci aveva promesso».
È chiaro. Lei punta al Lampredotto d’oro, il premio per il renziano dell’anno.
«Noi veneti siamo di origini contadine, cattolici, in passato legati alla Dc. Abbiamo sposato la proposta liberale berlusconiana e quella federalista di Bossi. Ci hanno delusi. Ora Renzi è una speranza. È veloce. Ci fidiamo più di lui che del suo partito, il Pd. La sua matrice culturale è quella democristiana».
Suggerisca al premier tre cose da fare per aiutare le imprese italiane…
«Prima di tutto andare ancora più veloce. Per non lasciare il tempo alla burocrazia di risucchiarlo nei suoi gorghi. Poi le tasse. E a livello europeo consiglierei una battaglia per l’industrial compact: una politica industriale europea che valorizzi le migliori attitudini dei territori».
Nessun accenno alla riforma del mercato del lavoro?
«Gli imprenditori che vogliono assumere dovrebbero sostenere meno stress, certo. Ma le assunzioni non si fanno per decreto. Il premier Letta fece un brutto errore quando ci disse: “Ci sono gli incentivi sulle assunzioni, ora non avete più alibi”. Noi appena possiamo investiamo davvero sulle persone».
Come presidente del premio Campiello lei ha disinvestito su Bruno Vespa e investito su Neri Marcorè.
«Ho parlato con Vespa. Ha capito la mia esigenza di aspirare a un Nuovo Campiello».
Il 13 settembre al Gran Teatro la Fenice ci sarà la cerimonia di premiazione. Negli ultimi mesi sono fioccate le polemiche: Vittorio Sgarbi ha protestato per l’esclusione del libro di suo padre Giuseppe dalla Cinquina finale. Ha detto che il Campiello è morto.
«Per Sgarbi ciò che non va dove vuole lui non ha diritto di esistere».
Monica Guerritore, presidente della Giuria dei Letterati che indica i finalisti, ha detto che la Cinquina non rappresenta i suoi gusti.
«La signora Guerritore, durante la cerimonia in cui sono stati scelti i finalisti, ha pure letto un pezzo di Rinuncio di Davide Brullo per appoggiarne la candidatura. Ha guardato negli occhi gli altri giurati, per convincerli. Ma non ha funzionato. I Letterati scelgono la Cinquina finale in autonomia. E la Cinquina viene sottoposta a una Giuria di trecento Lettori anonimi. Non posso sapere se ci sono accordi, ma se ci accorgiamo che qualcosa va contro le regole interveniamo».
Come?
«Anche la Giuria dei Letterati, di tanto in tanto, viene rinnovata».
Franco Cordelli, su La Lettura del Corriere, ha indicato il finalista Giorgio Falco come un esempio di mediocrità narrativa…
«È un giudizio personale».
A lei sono piaciuti i romanzi in concorso?
«Ho letto solo qualche pagina. Mia moglie Maria Grazia mi fa i riassunti e me li racconta».
Immagina chi sarà il vincitore?
«Lo scopriremo il 13 sera. Anche perché l’identità dei trecento Lettori resterà segreta fino ad allora. Al Campiello non possiamo garantire che il vincitore sia il miglior libro di narrativa italiana in circolazione, ma siamo garanti del fatto che la scelta viene fatta in totale trasparenza».
Altrove non è così? Il Premio Strega…
«Ripeto. Siamo l’unico premio totalmente trasparente».
Ricorda il primo libro che ha letto da bambino?
«Il giornalino di Gian Burrasca».
Mi racconta la sua infanzia?
«Sono nato a Caltrano, un piccolo paese del vicentino».
Famiglia di imprenditori?
«I miei genitori avevano un piccolo negozio di generi alimentari. Eravamo relativamente benestanti».
Che studi ha fatto?
«Tecnico Industriale a Vicenza: prendevo la corriera ogni giorno alle 6 di mattina per arrivare a scuola. Università a Padova. Mi sono laureato in Ingegneria».
Il primo lavoro?
«In un’azienda di elettronica. Poi ho lavorato nel settore dei cavi elettrici, degli impianti zootecnici e del ferro battuto, come direttore commerciale. Ero all’estero 20 giorni al mese. Ho girato l’Europa, l’America, il Nord Africa, il Medio Oriente… Alla fine degli Anni Ottanta ho deciso di mettermi in proprio».
Sempre ferro ed elettronica?
«No. Mi sembrava eticamente scorretto sfruttare le conoscenze delle aziende con cui avevo lavorato. Mi sono infilato nel mercato delle poltrone da ufficio e ho avviato una nuova azienda con Nicola Franceschi. Ora in Italia ho una cinquantina di dipendenti».
La vulgata: gli imprenditori veneti sono lamentosi e spesso evadono.
«Abbiamo un’immagine devastata da alcuni comportamenti minoritari».
Tra le inchieste sul distretto della concia, i movimenti indipendentisti o pro Evasione e le indagini sul Mose…
«L’entità di certe inchieste è stata spesso ingigantita dalla stampa. Non è il Veneto la regione in cui si evade di più. Del Mose, invece, mi ha stupito proprio la capillarità dei coinvolgimenti. Sugli indipendentisti… Quel referendum è stata una bufala. I veneti vorrebbero semplicemente poter gestire di più le loro risorse. Mi piacerebbe che in Italia lo Stato diventasse complice degli imprenditori e non solo guardiano».
Qual è la scelta che le ha cambiato la vita?
«Accettare la candidatura a presidente degli industriali vicentini, nell’estate del 2007».
L’errore più grande che ha fatto?
«Fidarmi di un socio italiano che avrebbe dovuto avviare la nostra attività in Cile. Si è arricchito alle nostre spalle».
A cena col nemico?
«Con l’avversario: Maurizio Landini».
Lei ha un clan di amici?
«Ne cito uno per tutti: Ilvo Diamanti».
Sa quanto costa un pacco di pasta?
«Due euro?».
Generalmente un po’ meno. Conosce l’articolo 41 della Costituzione?
«Non mi sovviene».
È quello sulla libera impresa e la sua utilità sociale. Dove si trova il Kurdistan?
«Tra Iraq, Siria e Turchia. Ci sono stato quando organizzavo laboratori linguistici in giro per il mondo».
Che cosa guarda in tv?
«Soprattutto telegiornali».
Il film preferito?
«Il cacciatore e Qualcuno volò sul nido del cuculo».
La canzone?
«La cura di Franco Battiato. Da ragazzo ero chitarrista, avevo un gruppo».
Il nome della band?
«Non credo di poterlo dire. È un po’ scurrile».
Non si formalizzi.
«Ehm… Gli uccelli paduli…».
Il libro?
«Seta di Alessandro Baricco e Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini».
C’è un libro recente a cui lei darebbe il suo personale Campiello?
«Un saggio. Futuro artigiano di Stefano Micelli. È un manifesto perfetto sulle prospettive dell’Italia».

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