Matteo Orfini (Sette – giugno 2014)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera, il 27 giugno 2014)
La prima citazione del suo pamphlet Con le nostre parole appartiene alla serie tv Fringe. E dieci anni fa ha battezzato con il nome Left Wing una rivista politica, in onore del serial cult West Wing. Matteo Orfini, 39 anni, è il nuovo presidente del Pd renziano. Gli faccio notare la coincidenza tra la sua passione per le fiction americane e l’appello di Renzi a utilizzarle per indirizzare la formazione del partito. Domando: «Ti ha scippato l’ispirazione?». Risponde ridendo: «Si chiama egemonia». Poi srotola un lungo elenco di “ritardi”: «Devo ancora finire Il trono di spade, sono indietro con Revolution e ho visto solo due puntate di Gomorra». Dichiara: «Le serie oggi raccontano la società». Alterna il giovanilismo pop al vetero piccismo: si scapicolla in giro per l’Europa per assistere ai concerti dei Pearl Jam e distribuisce magliette con l’immagine stilizzata di Togliatti alla festa annuale della sua rivista. Orfini, ex alfiere della dalemjugend, la gioventù dalemiana dei primi anni 2000, e neo giovane turco democratico, parla con lieve cadenza romana e da qualche tempo ha smesso di intercalare i suoi ragionamenti col baffuto “diciamo”. Ha appoggiato prima Bersani e poi Cuperlo alle primarie, sempre contro Renzi. Ma in alcune fasi politiche ha flirtato con l’ex Rottamatore: nel 2013 lo ha addirittura proposto come premier dopo il fallimento dei tentativi bersaniani. Viene da pensare al video Il dalemiano di Il Terzo Segreto di Satira, dove il protagonista riesce a sabotare un progetto passando per il più entusiasta dello stesso. Chiedo: «Ti mostravi pro Renzi per azzoppare la sua ascesa?». Replica: «Ho sempre lavorato per l’unità del partito». Non accetta che la sua linea sia definita “opposizione interna” e sul rapporto con la maggioranza renziana del partito dice: «Non sono pregiudizialmente ostile a Renzi. Fino al congresso te le dai di santa ragione, ma poi l’obiettivo della minoranza deve essere di influenzare la maggioranza con le proprie idee».
Pensi davvero che voi Giovani Turchi, ex Ds, un po’ identitari, riuscirete a far cambiare verso al “cambiatore di verso”?
«L’elemento identitario si trasforma in azione politica. Quando si è aperta la discussione sulla destinazione di 10 miliardi di euro…».
Il derby tra Irpef e Irap…
«…noi abbiamo puntato tutto sull’Irpef».
Ne sono scaturiti i celeberrimi 80 euro.
«Un cambio di passo. Una discontinuità rispetto alle politiche economiche degli scorsi anni».
Non è un po’ poco? Hai più volte denunciato l’esplosione dell’indice Gini, la distanza sempre maggiore tra ricchissimi e poverissimi.
«Se dai risorse a chi non ne ha, l’indice Gini si riduce. Ottanta euro, dove vivo io, nel quartiere Tufello, hanno un peso. E la discontinuità sta nell’aver invertito la sequenza delle priorità per uscire dalla crisi: non più risanamento che crea crescita che produce occupazione, ma occupazione che crea crescita che produce risanamento».
Hai scritto che negli anni Novanta sono stati fatti errori politici enormi, a partire dall’infatuazione di gran parte della sinistra per la cosiddetta Terza via e per il blairismo.
«Ci siamo dimenticati la parola eguaglianza».
In quegli anni eri ultradalemiano e terzaviista.
«Poi mi sono guardato intorno e ho realizzato che lo slogan “studia, sarai un vincitore della globalizzazione e non avrai bisogno del sindacato” non aveva funzionato. Il mondo che avevamo promesso si era trasformato per molti in una condizione para-servile. I protagonisti di quella fase rifiutano queste critiche».
È per questo che hai rotto con D’Alema?
«Senza personalizzare, ma D’Alema e la sua generazione rivendicano quelle politiche. Vanno fieri di aver realizzato l’avanzo primario. Ma quale leader della sinistra mondiale si vanterebbe dell’avanzo primario in un Paese con milioni di disoccupati?».
Renzi sembra muoversi sulla scia del blairismo.
«La comunicazione è quella. Ma il Renzi di oggi non è quello di tre anni fa. C’è una evoluzione. La prima misura del governo…».
È stata il decreto Poletti, che a detta della Cgil e di molti della sinistra del Pd è un provvedimento precarizzante.
«Ci sono state molte modifiche. E ora ci sarà una legge delega sul lavoro. L’obiettivo è ridurre la precarizzazione. Io ho proposto che vengano inserite tutele per malattia e maternità anche per i flessibili».
Sei favorevole al reddito di cittadinanza?
«No. E faccio notare che anche il Pci non lo ha mai proposto. Investirei i soldi necessari per il reddito di cittadinanza nella creazione di posti di lavoro».
Sei favorevole ai matrimoni gay?
«Sì».
Alla fecondazione eterologa?
«Pure».
A un testamento biologico degno di questo nome?
«Certo. Renzi ha preso un impegno ad affrontare almeno una parte di queste questioni. La società è cambiata rispetto ai tempi in cui se ne discuteva all’interno del governo Prodi».
All’epoca del primo governo Prodi eri in età universitaria. Che studi hai fatto?
«Liceo Mamiani a Roma. Il terzo giorno di scuola alcuni personaggi bussarono alla porta della classe: “Corteo interno, corteo interno”. Era il segnale per l’occupazione».
Eri secchione?
«Non direi. Dopo la maturità mi iscrissi ad Archeologia».
Come mai?
«Tutti vogliono fare gli archeologi da piccoli. Qualcuno poi ci prova davvero».
Non sei laureato.
«Ho finito gli esami e abbozzato una tesi. Il mio unico sogno ricorrente riguarda uno scavo archeologico».
Dove hai scavato e con quale professore?
«Soprattutto a Veio, con Andrea Carandini».
Nel 2011, quando eri responsabile Cultura del Pd hai innescato polemiche feroci contro Carandini.
«Non condividevo le sue scelte da presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali. Ma dal punto di vista scientifico lo ritengo un genio assoluto».
Quale è stato il tuo primo incarico nel partito?
«Segretario della Sinistra giovanile della sezione Mazzini del Pds a Roma».
Era la sezione di D’Alema.
«L’ho conosciuto lì. Poi di quella sezione sono diventato segretario».
Chi la frequentava ancora ricorda le tue iniziative: la proiezione delle partite della Roma, il biliardino…
«Eh eh, la sezione si riempiva. Organizzavamo anche un famoso torneo di calcetto».
A cena col nemico?
«Con Alessandro Di Battista del M5S».
Hai un clan di amici?
«Ne cito uno: Alessandro. La prima persona che ho conosciuto all’università. Vende macchine».
Qual è la scelta che ti ha cambiato la vita?
«Fare una figlia».
L’errore più grande?
«Non farla prima».
Sai quanto costa un pacco di pannolini?
«Una decina di euro».
Dov’è il Kurdistan?
«In Turchia, in Siria…».
Conosci l’articolo 139 della Costituzione?
«È l’ultimo. Dice che la forma repubblicana non si può cambiare».
Conosci anche l’articolo 12?
«È quello del Tricolore».
Secchione. La Nazionale per te…
«Ero a Berlino, allo stadio, quando l’Italia ha vinto il mondiale nel 2006. Un amico aveva avuto i biglietti un anno prima tramite la federazione calcio armena. Eravamo convinti che saremmo andati a vedere Brasile – Argentina. E invece…».
Sai che cos’è Ruzzle?
«Certo. Anche se sul cellulare preferisco giocare a tennis. Lo sai che esistono anche i joystick da collegare al telefono?».
Sei “videogame addicted”?
«Ho la Playstation da molti anni. Ci gioco solo a Pes, a calcio. E da quando è nata mia figlia Anita sono un po’ arrugginito».
Il film preferito?
«Per il figlio di un produttore cinematografico non è facile rispondere… Scelgo Blade runner».
La canzone?
«Oltre Wish you were here dei Pink Floyd, Come Back dei Pearl Jam».
Il libro?
«Il vecchio e il mare di Ernest Hemingway perché me lo leggeva mia madre da piccolo. E Lo Stato imprenditore di Mariana Mazzucato: è il volume che farei leggere a tutti gli esponenti della sinistra della “terza via” e ai loro epigoni. Spiega bene come molti simboli dell’innovazione contemporanea, dall’iPhone in giù, sono figli della ricerca finanziata dallo Stato».
Industria di Stato. Sei favorevole a privatizzare la Rai?
«No. Non lo sono mai stato. Sono favorevole a farla funzionare meglio e a recidere il rapporto con la politica».
Questo è un proposito di cui si riempiono la bocca tutti. Ma poi…
«Io sono stato quattro anni responsabile Informazione del Pd. Ho chiamato una sola volta il direttore del Tg1, Mario Orfeo, per protestare, nel 2012».
Reo confesso. Perché protestavi?
«Siamo entrambi rossoneri. Mi sembrava assurdo che non avesse aperto il telegiornale con la notizia dell’acquisizione di Balotelli da parte del Milan».

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