Maurizio Patriciello (Sette – febbraio 2014)

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(Intervista pubblicata il 14 febbraio 2014 su Sette – Corriere della Sera).
Maurizio Patriciello, 58 anni, è il parroco di Caivano, comune della periferia più sgarrupata di Napoli, dove le strade sono discariche e l’immondizia viene bruciata a cielo aperto. È un prete attivista, un punto di riferimento solido per i comitati che denunciano da anni la gestione immonda dei rifiuti nella Terra dei fuochi. Era al fianco dei cittadini durante i cortei autunnali a Napoli e poco tempo fa è salito al Quirinale per incontrare Giorgio Napolitano. Racconta: «Ho portato con me tredici madri di giovani vittime dell’inquinamento. Il Presidente ha pianto». Patriciello ha scritto Non aspettiamo l’Apocalisse (Rizzoli), insieme con Marco Demarco, ex direttore del Corriere del Mezzogiorno. È il diario di una guerra di trincea: malati, amministrazioni inermi, forze dell’ordine insufficienti.
Mentre parliamo si crea una piccola fila alle nostre spalle. Chiedo: «Chi sono?». Spiega: «Vogliono queste». E tira fuori da un cassetto un mazzo di lettere con cui lui invita il proprietario di un supermercato a concedere cinquanta euro di spesa ai parrocchiani. «Oppure mi invitano a pregare per i loro parenti, per i figli, per i genitori. Si ammalano tutti di cancro. È un continuo. Un continuo».
Il sacerdote mi chiede di sedermi accanto alla panca del confessionale. Fronte altare. Lui si accomoda su una sedia. L’ingresso sempre in vista. «Sa com’è!», sorride. «Sono arrivate alcune minacce. Meglio sapere sempre chi entra».
Chi l’ha minacciata? La camorra?
«Non lo so. La mia denuncia danneggia molte persone: anche il mondo dell’agricoltura, il mercato delle case…».
L’inquinamento ambientale contro il quale lei lotta riguarda anche loro.
«Le racconto un sogno che ho fatto qualche tempo fa: i protagonisti sono un riccio e un gattino tenerissimo. A un certo punto il gattino salta addosso al riccio e lo avvolge. Comincia a morderlo e a mangiarlo. Al riccio, mentre muore, crescono gli aculei. E gli aculei trafiggono il gattino».
È un sogno splatter.
«Il senso del sogno è questo: il riccio è l’interesse pubblico, il gattino quello privato. L’interesse privato in Italia ha sempre di più il sopravvento, ma non si accorge che danneggiando l’interesse pubblico uccide anche se stesso».
È quello che succede nella Terra dei fuochi?
«Esatto. Dalla camorra io mi aspetto il peggio. E la combatto. Ma dagli industriali mi aspetterei il rispetto dei beni comuni. Invece molti hanno fatto affari con la malavita. E per risparmiare hanno distrutto queste terre. Lo sa che cosa mi ha detto Giorgio Squinzi, il presidente di Confindustria, quando ho cercato di spiegargli questo dramma?».
Che cosa?
«Nulla. Perché non mi ha mai ricevuto. Eppure è chiaro a tutti ormai che il problema qui non sono i rifiuti urbani, ma quelli industriali che vengono anche dal Nord».
È sicuro?
«Faccia un giro. Nella Terra dei fuochi si brucia molta pelle. Lo sa che per un chilo di scarpe c’è mezzo chilo di scarti di pelle da smaltire? Se si produce e si vende in nero merce contraffatta, dove si smaltiscono questi scarti? Una volta a un senatore leghista l’ho detto in faccia: “I rifiuti chimici tossici dell’Acna di Cengio sono tutti a Giugliano, quando venite a riprenderveli?”. Abbiamo il livello di inquinamento delle città industriali senza avere le industrie. Invece di portare lavoro qui le imprese rovinano la vita dei più poveri. E i poveri sono davvero tanti. Dovreste venire qui quando diamo il pacco alimentare: sembra di stare in Africa. Molti amministratori chiudono gli occhi. Basterebbe farsi una domanda».
Quale?
«La disoccupazione ormai è arrivata al 90%…».
Non esageri.
«Non esagero. Ci sono migliaia di famiglie a reddito zero. La domanda è: come crede che vadano avanti queste persone? Molti bruciano immondizia, per dieci euro al giorno».
Col decreto Terra dei fuochi (appena approvato) bruciare spazzatura è diventato reato.
«Ottimo. Ma ora che cosa succederà? Riempiremo le carceri di poveracci, e poi? L’ho detto anche a Napolitano: prima bisogna fare attenzione al sistema industriale».
Che cos’altro ha detto al Presidente?
«Che non si può andare avanti con le prescrizioni. I malavitosi e gli approfittatori ci ridono dietro, perché tanto sanno che i reati ambientali vengono continuamente prescritti. E poi c’è il problema sanitario… Stop al negazionismo».
Quale negazionismo?
«Quello di chi sostiene che non ci sia una relazione tra le malattie e l’inquinamento».
Sul nesso causa effetto è bene essere prudenti.
«Certo. Ma il dottor Mario Fusco, il direttore del registro tumori di Napoli, non può raccontarci che non è vero che qui ci si ammala più che al Nord. Quando certi agronomi ci dicono che se le radici sono inquinate non è detto che lo siano anche i frutti, io chiedo: e le patate? E le carote? Le radici che ci mangiamo fanno bene? Io ricevo segnalazioni di tumori continuamente. Mi chiedono di pregare».
La protesta dei comitati della Terra dei fuochi…
«I comitati mi dicono che dovrei essere più duro. Io rispondo: “Se volete fare la rivoluzione ne avete il diritto. Ma io sono non violento. Quindi non sarò al vostro fianco”. Credo ancora nel dialogo con le istituzioni».
Lei è nato nella Terra dei fuochi?
«Sono nato a Fratta Minore, a pochi chilometri da qui. Mio padre era fruttivendolo. Ho vissuto l’infanzia tra le pesche, nei campi della Campania Felix. Ho visto crescere le tangenziali. Le ho viste ferire la mia terra».
Quando è diventato sacerdote?
«A 34 anni. Per dieci anni ho fatto l’infermiere».
La fede…
«È arrivata dopo aver incontrato per caso un frate, Riccardo. Ora lui è in Africa. Una notte di due anni fa, invece, ho capito che il mio impegno doveva mirare alla lotta all’inquinamento».
Che cosa accadde quella notte?
«Mi svegliai per la puzza. Era nauseante. Avevo già scritto qualcosa sulla Terra dei fuochi su l’Avvenire. Ma da quel momento ho deciso che sarebbe stata la mia missione».
A cena col nemico?
«Andrei volentieri con un gruppo di medici-professoroni. L’unico che ci ha aiutati davvero negli ultimi anni è l’oncologo Antonio Marfella».
Con Nicola Cosentino cenerebbe?
«Sì».
Cosentino è accusato di essere vicino ai Casalesi. Ora è tornato a fare politica con la berlusconiana Forza Campania.
«Incredibile, eh. Io sono garantista. Ma è giusto lasciarci qui con questa gente?».
Si risponda da solo.
«È il prezzo della democrazia. Io comunque andrei a cena anche con Carmine Schiavone. Per esplorare il suo cuore».
È un camorrista pentito. Lo ha mai incontrato?
«Sì e gli ho chiesto: ma che camorristi siete che avete devastato il vostro territorio con i rifiuti tossici?».
Lui che cosa le ha risposto?
«Che all’inizio non si rendevano conto di quanto fosse grave. E io un po’ ci credo. Questi erano criminali, non chimici».
Lei ha un clan di amici?
«Uno su tutti: Albo, fa l’ingegnere».
Qual è la scelta che le ha cambiato la vita?
«Dare quel passaggio in macchina a frate Riccardo».
L’errore più grande che ha fatto?
«Pensare che la gioia potesse derivare da un peccato. I soldi non mi sono mai interessati. Ma sono stato fidanzato. Se potessi tornare indietro entrerei prima in seminario».
Che cosa guarda in tv?
«I talk show con poche urla. E Chi l’ha visto?».
Il film preferito?
«Il pranzo di Babette».
Lei cucina?
«Salsicce e patate… per i ragazzi della parrocchia».
Pensavo che mi dicesse Biùtiful cauntri, il film di denuncia sulla Terra dei fuochi.
«L’ho visto una decina di volte, ma spezzettato, perché mi mette troppa angoscia. Ha avuto un ruolo fondamentale per far conoscere i nostri guai».
La canzone?
«Vacanze romane dei Matia Bazar».
Il libro?
«I promessi sposi. L’ho letto tre volte».
Quanto costa scaricare un fusto tossico in Campania in una discarica abusiva?
«La metà della metà di quello che costerebbe farlo secondo le regole».
Di che cosa parla l’articolo 12 della Costituzione?
«Non lo so».
È quello che descrive il Tricolore.
«Davanti al tricolore mi inchino, ma…».
Ma…?
«L’abbandono di queste terre da parte dello Stato sta facendo crescere un sussulto di meridionalismo nel cuore di molti cittadini. E anche nel mio».

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