Carlo Carraro (Sette – gennaio 2014)

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(Intervista pubblicata su Sette – Corriere della Sera il 10 gennaio 2014)
Fa parte dell’IPCC, è membro dell’EEA, dell’HEEP e dello IEFE. Frequenta il CAMA e l’IVSLA, fa ricerca anche al CEPS e al CEPR, collabora con l’OECD… Tradotto: è uno dei principali esperti di economia ambientale in Italia. Carlo Carraro, 56 anni, è il rettore di Ca’ Foscari. Lo incontro nella sua stanza veneziana con vista alla Canaletto. A un certo punto gli chiedo se ha figli. Mi dice che ne ha tre: Maelis, Mathilde e Nathalie. «Mia moglie è francese. Hanno 25, 21 e 17 anni. Studiano tutte tra l’Inghilterra e gli Stati Uniti: la prima si è laureata al UCL di Londra e ora è a New York, la seconda ha frequentato il King’s College, sempre nella City, e la terza ha deciso di finire il liceo a Cambridge. Nessuna delle tre tornerà in Italia». Carraro fa quest’ultima considerazione con tono di rassegnazione, come se fosse il destino inesorabile per chiunque voglia combinare qualcosa.
Non farà nulla per far rientrare i cervelli in fuga delle sue figlie?
«No. Da un certo punto di vista hanno ragione. Le università italiane non preparano abbastanza i ragazzi a lavorare nel mondo. Il processo di internazionalizzazione dei nostri atenei è ancora molto lento».
Non è bello sentirlo dire da un Rettore.
«Facciamo grandi progressi. Ci stiamo attrezzando per migliorare».
Come?
«A Ca’ Foscari ci sono corsi in 40 lingue. C’è un intero corso di laurea in Economia che si svolge in inglese. Come i master. Abbiamo 70 visiting professor provenienti da università internazionali. Ogni anno firmo nuovi accordi per permettere agli studenti di fare esperienza di studio e di lavoro in giro per il mondo».
Lei dove si è formato?
«Proprio a Ca’ Foscari. Sono di Padova, ma per l’Università mi sono trasferito a Venezia».
Aveva vent’anni nel 1977.
«Ho contribuito a organizzare l’ultima occupazione. Partecipavo alle attività di quel movimento studentesco che voleva cambiare l’università».
Chi c’era con lei in quegli anni a Ca’ Foscari?
«Il segretario provinciale dei giovani comunisti italiani era Michele Boldrin».
L’economista lib-lib-lib di “Fare per fermare il declino”?
«Sì, allora era inquadrato solidamente nel Pci. Abbiamo condiviso molte esperienze. Dopo la laurea siamo partiti entrambi per gli Stati Uniti. Lui ci è restato. Io sono rientrato dopo aver vinto un concorso nel 1987».
Oscar Giannino, collega di Boldrin nel movimento “Fare per fermare il declino”, è stato beccato con titoli falsi e lauree inesistenti.
«Giannino è bravo, a prescindere dai titoli. Non aveva motivo di mentire. Come lui, comunque, io credo che andrebbe eliminato il valore legale della laurea. Lei non sa quante persone ci sono in giro che si spacciano per laureati».
Tante?
«Almeno quante quelle che chiedono una laurea honoris causa. È l’Italia che spera di vedere accresciuto il proprio valore tramite un pezzo di carta. Nel resto del mondo sei considerato bravo… solo se sei bravo».
Lei ha mai pensato di fare politica?
«Mai. Credo nella specializzazione».
Negli ultimi anni si sono messi a far politica economisti, banchieri, professori…
«Non con grandi risultati, però».
Si riferisce a Mario Monti?
«Come ministro tecnico ha fatto un buon lavoro. Ma come politico è stato abbastanza un disastro».
Monti è stato il premier tecnico dell’Austerity.
«Ha fatto il necessario per evitare il tracollo finanziario».
Recentemente l’economista Lorenzo Bini Smaghi ha raccontato che il governo Berlusconi è stato fatto cadere anche perché il Cavaliere aveva ventilato l’ipotesi di uscire dall’Euro.
«Mi pare una ricostruzione un po’… riduttiva. Ma è vero che la linea politica di Berlusconi non piaceva a chi detiene il potere economico in Italia».
Di chi parla?
«Banche, assicurazioni… Soggetti che non sono stati sfavoriti dagli interventi della Bce e che Bce e Bankitalia, invece, dovrebbero monitorare meglio».
In che senso?
«Oltre a controllare la gestione del passivo, si dovrebbe vigilare anche su come le banche spendono i soldi che comprano a tassi molto bassi dalla Bce. Ormai le risorse finanziarie per avviare nuove imprese vengono solo dalle stesse imprese. Quelle che sono riuscite, innovando, a resistere alla crisi. In Veneto ce ne sono più di tremila che hanno avuto una crescita a doppia cifra negli ultimi cinque anni».
Producendo che cosa?
«Meccanica di precisione, moda, energie rinnovabili, agroalimentare».
Lei è un economista esperto di ambiente. Un’impresa che rispetta l’ambiente…
«C’è bisogno di dirlo? Investe sul futuro».
Lei segue il decalogo di Al Gore?
«A casa e al lavoro. Ca’ Foscari è l’unico edificio universitario che ha superato l’esame del LEED, il sistema di certificazione di risparmio energetico più duro del mondo. Ognuno comunque dovrebbe fare la sua parte, anche se in Italia la questione è ancora sottovalutata».
Spieghi a un ecoscettico che senso ha usare la lavastoviglie di notte per consumare meno, quando in India ci sono milioni di persone che reclamano l’elettricità e prima o poi giustamente la otterranno.
«C’è un bellissimo studio della Fondazione Mattei che lo spiega con dati precisi: se noi oggi riuscissimo a dare l’energia elettrica ai due miliardi di persone che non ce l’hanno, il consumo planetario di energia aumenterebbe solo del 10%. Il problema non è la necessaria lampadina, sono i consumi della fascia benestante della popolazione. Lo hanno capito anche i cinesi. La settimana scorsa ero a Pechino e le tv martellavano sulla necessità di ridurre l’inquinamento. Certo, loro lo fanno anche perché sono grandissimi produttori di pannelli solari».
Lei è favorevole al Mose, il sistema di barriere che dovrebbe salvare Venezia dalle maree?
«Non del tutto. Serviva un sistema di difesa, ma si doveva trovare una soluzione meno onerosa. I costi di manutenzione sono davvero enormi. Avrei preferito il modello newyorkese ispirato a quello olandese. Tra l’altro ho appena consegnato a Bloomberg un premio per il piano per gli adattamenti ai cambiamenti climatici che presentò quando era sindaco di New York».
A che altezza sono le città italiane nella classifica di questi piani di adattamento?
«Non ci sono proprio. Perché nessuna ha un piano».
Scherza?
«No, è stata aperta in questi giorni una consultazione pubblica per un piano nazionale. Ma temo che ci vorrà ancora un po’ di tempo perché vengano realizzati quelli a livello urbano…».
Dovrebbero farlo in fretta?
«Certo. Le inondazioni come quella di Olbia non sono una novità. Ce ne fu una, sempre lì, anche nel 2003. Ma i cambiamenti climatici stanno aumentando la frequenza dei fenomeni atmosferici più violenti e quindi ci si dovrebbe attrezzare, soprattutto dove l’urbanizzazione è stata più sconsiderata».
Qual è la scelta che le ha cambiato la vita?
«Partire per gli Stati Uniti dopo la laurea».
L’errore più grande che ha fatto?
«Tornare? Eheh».
Il film preferito?
«Uhm… Il pranzo di Babette di Gabriel Axel».
È un gourmet?
«Mi piace mangiare bene. Ma non nelle boutique multistellate del gusto. Cerco i sapori genuini in campagna, dai contadini».
Il libro?
«Cent’anni di solitudine di Gabriel García Márquez. L’ho letto nel 1976, d’estate. Ero in vacanza in Liguria».
La canzone?
«Una a caso di Francesco Guccini. Ho suonato per molti anni la chitarra. Avevo un gruppo con cui facevamo i pezzi dei cantautori».
Sa quanto costa un pacco di pasta?
«Quella del supermercato circa novanta centesimi».
Fa la spesa?
«Certo, ogni settimana».
Cinguetta su Twitter?
«Sì, ma solo per motivi accademico/organizzativi».
Conosce l’articolo 41 della Costituzione?
«Non lo ricordo».
È quello sull’utilità sociale dell’impresa.
«Ah. Un articolo molto citato, ma poco praticato».
Quale parola aggiungerebbe alla Costituzione?
«Ambiente. La parola a cui è legato il destino della nostra crescita».
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Categorie : interviste
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