Guè Pequeno (Sette – dicembre 2012)

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Trascorre le sue giornate scrivendo canzoni, cercando belle ragazze su Facebook e pompando i bicipiti. Le sere sono spesso rock. E finiscono al Berlin, locale/tana della scena hip hop meneghina. Cosimo Fini, trentun anni, tatuatissimo, in arte Guè Pequeno (dove Guè sta per Guercio e Pequeno è una citazione del criminale carioca Ze Pequeno, protagonista del film City of God), è uno dei tre Club Dogo. «Quello col carattere mite». Gli altri sono Jake La Furia e Don Joe. Insieme riempiono palazzetti, hanno appena conquistato il loro primo disco d’oro e Mtv gli ha dedicato una trasmissione di otto puntate: Club Privé.
Lo incontro in una saletta della casa discografica Universal. Guè si autodefinisce “zarrogante” (zarro misto arrogante): la spavalderia è di scena, ma il sottofondo para-delinquenziale è abbastanza reale. Gli dico: «Nei video non ti si vede mai ballare». Replica sorridendo: «Sono un legno». Nel mondo Club Dogo le ragazze sono sgrille, i ragazzi zio e fra’, le sneakers e i gioielli ultra-cafoni si mescolano ai tatuaggi e alle magliette griffate. I versi si intrecciano in un contrappunto alto-bassissimo molto uncorrect: don Totò Riina fa rima con Olgettina, la vita è corta «come il cazzo dei cinesi», Gesù appeso a una catenina «sotto al collo a vù», dice: «Zio, non ci siamo/sei fatto tutti i giorni, sei il fatto quotidiano». Uno slogan su tutti: «O faccio i soldi o muoio: euros o thanatos», trasposizione mercatista della più nobile accoppiata eros e thanatos.
Quando affronto l’argomento droghe, il rapper si mette in modalità “eccone un altro che vuole fare ramanzine”. È quasi annoiato dall’argomento. I Club Dogo sono stati accusati di esaltare l’uso degli stupefacenti, di inserire nei testi frasi come «Sto senza Dio ma ho due etti con me», di parlare continuamente di spinelli (paragonati per le dimensioni a cannocchiali o a torce olimpiche) e di pasticche («paste nelle tasche»). La difesa in pratica è questa: «Nelle nostre canzoni descriviamo semplicemente quello che vediamo. Parlarne è molto meglio che tacere in modo ipocrita come fanno politici e star assortite». Insisto.
Il tuo gruppo ha la fama di essere rissaiolo e drogatissimo.
«Ho fumato erba con l’80% delle persone che ho conosciuto: manager, studenti, nobili e proletari. Non mi vergogno di dire che faccio uso di droghe. Ma il periodo gangsta è passato. Non andiamo più in giro con cinquanta persone a ficcarci in situazioni assurde. La nostra cifra stilistica si è evoluta».
Ora qual è?
«L’ironia. Credo che il successo commerciale sia arrivato anche per questo».
Il successo commerciale vi viene rimproverato dai puristi del rap.
«Un classicone».
Se vi invitassero a Sanremo, ci andreste?
«Io ci andrei volentieri in platea solo per vedermi in smoking accanto a Mara Venier. Bella scena, no? Di cantarci non è ancora il momento. Magari fra tre o quattro anni: al gratto della carriera…».
Al che cosa, scusa?
«Il gratto. Hai presente quando devi raschiare il fondo?».
Parteciperesti volentieri a un reality show?
«Ci hanno offerto di fare la giuria di un fallimentalent».
Sarebbe un talent show andato male? Quale?
«Star Academy con Francesco Facchinetti. Al posto nostro ci è andato quello sfigato di Roy Paci. E la trasmissione ha chiuso dopo poche puntate».
Niente Sanremo e niente reality. Ma la vostra canzone Pes è davvero leggerina. «Sto lontano dallo stress, fumo un po’ e dopo gioco a Pes». Una canzone dedicata a un gioco elettronico che è diventata addirittura un tormentone estivo.
«Pes è un pezzo divertente. Ma a chi ci critica dico: provate voi a mandare in radio una canzone in cui si parla di canne. Siamo tamarri, ma ogni tanto ci occupiamo anche dei problemi di chi ci circonda. Nell’ultimo disco Noi siamo il Club – Reloaded, ci sono canzoni social… Persino in Pes io dico: dedicato a chi ha il diploma, eppure non lavora».
In Cattivi esempi canti: «Se per te PD è una bestemmia e non un partito, ti dico bravo/PDL è la stessa bestemmia, ma con l’aggiunta di ladro». Blasfemo e antipolitico.
«Sono ateo. Ma antipolitico no. E comunque anche qui: il rap è la voce della strada. Noi non facciamo sermoni. Descriviamo un mondo».
Hai vissuto molto per strada?
«Sì. Ho fatto due anni da nerd. Poi sono diventato cattivo. Mentre i miei compagni di scuola okkupavano io mi facevo i ciloom al Parco Sempione e andavo in giro a spaccar locali».
Che studi hai fatto?
«Il liceo Parini. A Milano».
È la scuola della borghesia intellettuale.
«I miei genitori sono entrambi giornalisti. Mia madre si occupava di cinema. C’è stato un periodo in cui frequentavo i festival. Ho fatto lo sguattero al festival di Venezia per vedere i film gratis e incontrare qualche star».
Altri lavori?
«Nei call center per vendere moto e abbonamenti telefonici. E poi per qualche mese ho assemblato orologi in un magazzino. Con me c’era Marracash».
Altro rapper arcinoto. Tu quando hai cominciato a rappare?
«A inizio anni Novanta. Con Jake, che conosco da allora, prendevamo il lato B, quello con le basi, dei vinili dei grandi rapper americani e improvvisavamo i testi».
A chi ti ispiravi?
«A differenza di Jake e Don Joe, io non sono partito dal percorso zarro con pasticche e tecno. Mi piaceva il metal, i cross over dei Beastie Boys. Ora mescoliamo i generi. Siamo davvero malati di musica».
Tu scrivi sempre le parole che canti?
«Certo, lo fanno tutti i rapper».
Gioielli fatti su misura. Lampade. Vestiti firmatissimi. Hai la fama di essere il più modaiolo dei Club Dogo.
«Ci tengo. Mi sto pure per fare un dente d’oro bianco con brillante. Elegante eh. Ahahah. Non essendo Umberto Eco mi posso divertire. Mischio gli stili: cose cafone e bei vestiti. Incastro influenze e generi».
È vero che sei sponsorizzato da uno stilista?
«Armani mi dà un po’ di vestiti. Devo approfondire una storia…».
Quale storia?
«Mi hanno detto che sono il rapper preferito di Roberta Armani. Ha qualche anno più di me, ma insomma…».
Ci vuoi provare? Ma allora è vero che sei ossessionato dal sesso!
«Sono abbastanza compulsivo».
In Club Privé c’è una scena in cui tu entri nel camerino del Forum di Milano e dici: “Sento odore di sesso”. Le fan vi saltano addosso?
«Il fenomeno c’è. Ma la battuta era cameratesca. Quando siamo in tournée, in sei su un furgone, il livello delle gag è quello».
Battute a parte…
«C’è stato un momento in cui uscivo pure con le ragazze che fanno i calendari su Max».
Roba da calciatori…
«E lo so. Le velinette sono uno status symbol brutto, materialista, effimero… Ma quando puoi frequentare ragazze che fino a pochi mesi prima guardavi solo per masturbarti… te le fai».
Un ragionamento che sarebbe molto apprezzato in un dibattito femminista sul corpo delle donne.
«Ahah. Le femministe odiano i Club Dogo. Abbiamo smesso di suonare nei centri sociali per colpa loro. Ma perché sulle droghe e sulle donne venite a chiedere a noi di dare l’esempio? Ma vi siete accorti di che cosa passa in tivvù e di chi ci ha governato fino a un anno fa? Comunque dopo che ne hai frequentate due, con le modelle ti succede come con la droga…».
E cioè?
«Non ti fanno più effetto».
Sesso, droga… e PlayStation?
«In realtà non sono un maniaco dei giochi da consolle. Non ho tempo. Curo anche progetti da solista e sono imprenditore».
Cioè?
«Produco giovani artisti con la mia etichetta Tanta Roba».
Chi è il rapper del futuro?
«In Italia? Direi Emis Killa».
A cena col nemico?
«Con un cantante impegnato».
Un nome?
«Jovanotti. Rispetto alla nostra musica tamarra è impegnatissimo. Se mi domandi dove vorrei essere ora, io ti dico a Miami, a bordo piscina. Lui ti risponderebbe in Patagonia, in bici, per cercare tribù in difficoltà».
La scelta che ti ha cambiato la vita?
«Lasciare l’università. Ho fatto dodici esami a Filosofia».
Hai mai pensato di riprendere gli studi?
«Credo che non ci riuscirei. Ormai non riesco quasi più a leggere».
In che senso?
«Mi distraggo. Leggo qualche pagina e mi viene da mandare un messaggio col telefono. Mi collego a Twitter dove ho più di centomila follower, rispondo a una telefonata… I social network mi hanno risucchiato».
Vittima del multitasking?
«Vivo col telefono in mano. Ho una soglia dell’attenzione minima e ho bisogno di fare dodici cose contemporaneamente».
Hai mai provato a disintossicarti dall’ultra-connessione?
«Sì. In vacanza ho resistito 24 ore. Poi ho dovuto riagguantare il telefono».
Il film preferito?
«A parte Scarface? Il Profeta di Jacques Audiard».
Il libro?
«Il potere del cane, di Don Winslow».
La canzone?
«Smooth operator di Sade».
Stai scherzando? È roba pop anni Ottanta.
«È stata per anni la mia cantante preferita. Al suo concerto ho pianto».
Sai quanto costa un litro di benzina?
«Non lo so. Non ho la macchina. Non ho la passione dei motori. Mi piacciono gli orologi costosi».
Conosci i confini della Striscia di Gaza?
«No».
Quanti anni ha la Costituzione?
«Oh ca… Una sessantina. Ci ho preso?».
Ti sei autodefinito Guè, il Guercio, perché hai l’occhio sinistro un po’ chiuso. È così a causa di un incidente?
«No, ci sono nato. È ptosi palpebrale. Pensa che mio padre ha un occhio di vetro. Ma le due cose, ovviamente, non c’entrano una con l’altra».
Il rapper Inoki ti ha dedicato la canzone Polifemo diss.
«Capito la citazione colta? Coi due neuroni che si ritrova quello sfigato…».
Hai mai pensato di operarti all’occhio?
«No. È un mio tratto distintivo. E poi ce l’aveva anche JFK. JFGuè».

Vittorio Zincone
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Categorie : interviste
Commenti
laura 9 Ottobre 2013

gue

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