Don Vincenzo Paglia (Sette – aprile 2012)

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Don Vincenzo Paglia, vescovo di Terni e consigliere spirituale della Comunità di Sant’Egidio (quella fondata da Andrea Riccardi, attuale ministro della Cooperazione e dell’integrazione) non teme la schiettezza. Quando gli chiedo se possiamo ancora dirci cristiani, accarezza la grande croce che ha al collo e che fu del leggendario cardinale Oscar Romero (alla cui beatificazione Paglia sta lavorando) e risponde: «No». Sorride e, con lieve inclinazione del Frusinate, spiega: «Non ci possiamo dire cristiani se non torniamo a un cristianesimo dalla forte valenza comunitaria». Il cristianesimo, oggi, non ha questa valenza? «Da tempo il virus dell’individualismo rischia di inaridire il cattolicesimo contemporaneo. C’è chi ritiene che essere cristiano voglia dire solo salvare la propria anima. Ma il cristianesimo non è questo. Lo dice chiaramente lo stesso Benedetto XVI nella Spe salvi. Temo che questo nuovo individualismo religioso sia complice dell’individualismo delle solitudini che infesta l’Europa».
Questo è il cardine del Paglia-pensiero. Il vescovo è convinto che l’Occidente sia malato di inerzia, sia assuefatto a un individualismo sterile, che porta solo decadenza. La cura? Paglia l’ha indicata recentemente anche in un libro (Cercando Gesù, Piemme): «Proprio il cristianesimo può salvare il mondo globalizzato perché porta con sé il rispetto della libertà, degli individui, ma anche la necessità della responsabilità: la carità, la pietas, l’attenzione ai deboli».
L’arcivescovo Giancarlo Brigantini parlando della riforma del Lavoro firmata da Elsa Fornero ha detto che “il lavoratore non è una merce”. Be’, Paglia va ben oltre: «Nemmeno le donne sono una merce. Nessuno dovrebbe esserlo. E invece la mercificazione delle vite è una realtà. Per combatterla si dovrebbe tornare alla gratuità delle azioni. Anche delle azioni politiche». La gratuità come antidoto cristiano alla globalizzazione dei lavori e delle merci? «La gratuità come esempio di pensiero rivolto agli altri. La stessa Chiesa italiana non può pensare solo a se stessa: deve pensare anche al bene del Paese. L’individualismo trasforma la democrazia in un guscio vuoto, in balia di spinte autocratiche o tecnocratiche». Si riferisce ai diktat economici della cosiddetta troika formata dalla Bce, dal Fmi e dall’Ue? «Penso che la tecnica economica non sia sufficiente per curare il mondo. Il caso della Grecia lo dimostra». Il governo Monti… «Ora c’è da salvare il Titanic. Ma insomma… la distanza tra i cittadini e le istituzioni ormai è eccessiva. Tutte i cosiddetti corpi intermedi (sindacati, associazioni religiose, partiti…) oggi hanno una grande occasione». Quale? «Quella di ridisegnare il Paese». Addirittura? «L’Europa si trova in una situazione simile a quella successiva al crollo dell’Impero romano o alla fine della Seconda guerra mondiale. È un momento fondativo. Ci sono grandi sfide da affrontare: l’ecologia, l’ingegneria genetica, lo sviluppo tecnologico… In Italia servirebbe una costituente, un nuovo umanesimo che pensi al futuro e ridia agli italiani il senso di responsabilità per il bene comune. C’è bisogno di un nuovo sogno e di una nuova visione». Provoco il vescovo: «Sembra di sentire un nostalgico sessantottino». Lui rilancia: «Rivendico quella voglia di cambiare il mondo. Ma con il Vangelo».
Quando alla fine dell’intervista gli faccio notare che il suo sembra un progetto politico, Paglia replica con disinvoltura «Certo. Lei pensa davvero che come cristiani possiamo disinteressarci di quel che aspetta le future generazioni?».
Vittorio Zincone

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Categorie : interviste
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