Massimo Zedda (Sette – dicembre 2011)

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L’attività principale nei suoi primi sei mesi da sindaco è stata quella di individuare dove sfoltire, tagliare, snellire sprechi e follie amministrative. Zac. Massimo Zedda, 35 anni, primo cittadino di Cagliari, fa parte (col milanese Pisapia) di quella pattuglia vendoliana che in primavera ha sconfitto il candidato ufficiale del Pd alle primarie e quello del Pdl alle elezioni amministrative. È considerato un sindaco anti-casta: ha rinunciato al vitalizio da consigliere regionale e sostiene di usare solo il minimo indispensabile l’auto blu d’ordinanza. Lo provoco: «Non è che tutta questa storia del taglio ai costi della politica è un’operazione di marketing politico?». Lui, prima replica: «Siete voi giornalisti ad aver pompato questo aspetto». Poi, finita l’intervista, scherza: «Se vuoi ti do un passaggio. Qui fuori c’è l’autista del Comune con la Lancia K che ci aspetta». E ancora, avvicinandosi alla sua macchina: «Questa l’ho comprata con la prima mazzetta». È sardissimo, ma scivola quando gli chiedo di completare un verso della canzone «No potho reposare amore e coro…». È giovane, ma usa una terminologia da piccì nattiano: «Serve rinnovamento nella continuità». Elenca con fierezza i suoi primi provvedimenti: «Il Comune affittava a caro prezzo degli immobili pur avendo sedi proprie usate male o lasciate sfitte. Ti rendi conto che pazzia?». Anche lui, come molti suoi colleghi di coalizione, subisce un minimo il fascino della celebre sobrietà di Monti. Ma essendo di sinistra-sinistra vacilla quando gli elenco alcuni dei provvedimenti che il vento montiano potrebbe portare in Parlamento: una spallata all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, una sforbiciata alle pensioni di anzianità… Tu avresti votato la fiducia al governo Monti? «Sì, ma con molte perplessità».
Quali?
«Premessa: dopo Berlusconi, vedere una persona seria al governo è comunque un sollievo. Ma non penso che saranno i tecnici a salvarci da questa crisi. E credo che la politica stia venendo meno al suo ruolo».
Tradotto?
«Io avrei preferito le elezioni. Davvero vogliamo dare ai cittadini l’idea che solo un tecnico possa salvare il Paese?».
Un tecnico può imporre (più liberamente?) le lacrime e il sangue.
«Basta che comincino a pagare prima quelli che hanno lucrato».
Di chi parli?
«Ho letto che Sergio Marchionne ha uno stipendio 1.150 volte superiore a quello di un operaio Fiat».
Marchionne è un manager. Ed è grazie a lui che la Fiat è riuscita a restare sul mercato.
«La sperequazione mi sembra comunque eccessiva».
Mario Monti ha elogiato l’azione di Marchionne.
«E questo mi preoccupa».
Monti ha elogiato anche la riforma Gelmini.
«Questo mi preoccupa ancora di più».
C’è chi ha ipotizzato Mario Monti come possibile leader di una futura coalizione di centrosinistra.
«No, questo no. Anzi, sì».
Accetteresti Monti come leader politico?
«Se vincesse le primarie di coalizione, sì».
Essere di sinistra ai tempi di Monti.
«Basta aver chiaro in testa che prima di toccare lo Stato sociale e il welfare, bisogna intervenire sugli sprechi».
Quali, in particolare?
«Monti dovrebbe aprire tutti i capitoli di spesa del Bilancio dello Stato e verificare l’utilità di quelle spese. Troverebbe un tesoro: vitalizi, prebende, enti inutili, follie clientelari».
Non credo che ci sia tempo.
«Il tempo bisogna trovarlo. Se i cittadini non vedono scomparire certi privilegi difficilmente accetteranno altri sacrifici. A Cagliari ci sono persone della media borghesia che per andare avanti hanno cominciato a rivolgersi alla Caritas. A un pensionato che prende poco più di mille euro dopo aver insegnato trent’anni in una scuola, che cosa vuoi togliere? Non si può chiedere di più a chi non ha nulla».
Hai detto: “Non è vero che i soldi pubblici devono essere amministrati come farebbe un buon padre di famiglia”.
«Un padre di famiglia si può permettere ogni tanto una botta di follia. La politica impone vincoli doverosi. Specialmente in tempi di crisi».
C’è chi sostiene che saresti un candidato perfetto anche a livello nazionale: a metà tra Vendola e Renzi.
«Pensa come stiamo messi».
Tra Vendola e Renzi…
«Vendola, ovvio. Ma considero Renzi molto bravo. Piace. Anche se le sue idee sono spesso lontane dalle mie».
Con l’arrivo del “montismo”, c’è chi ha messo in discussione l’alleanza sancita dalla famosa foto di Vasto, quella con Bersani, Di Pietro e Vendola.
«Speriamo di no».
Il Pd alle ultime amministrative ha contribuito alla vittoria di candidati che all’inizio non gradiva più di tanto: tu a Cagliari, Pisapia a Milano e De Magistris a Napoli.
«Quel partito è anche la mia storia. Ma effettivamente le loro candidature erano sbagliate. Forse i dirigenti democratici sopravvalutano il vincolo che i loro elettori hanno con il loro partito».
Una volta hai dichiarato che la rovina della sinistra è la classe dirigente che sta lì dal 1994. Parlavi di Veltroni e D’Alema?
«Non di loro due, che tra l’altro, dopo che avevo sconfitto Antonello Cabras alle primarie, mi hanno sostenuto come candidato sindaco. Parlo dei loro coetanei… Degli sconosciuti che magari stanno in Parlamento da 8 legislature».
Tu sei un giovane sindaco, ma sei in politica da molti anni. Mi racconti la tua storia?
«Mio padre era un dirigente del Pci. Mia madre era insegnante di storia dell’arte».
Qual è l’opera d’arte che ti piacerebbe avere in casa?
«Guernica di Picasso. Ma bisognerebbe avere anche un salotto abbastanza grande. E io non ce l’ho».
Nel salotto di casa dei tuoi genitori capitavano molti politici sardi?
«Sì. E ricordo anche Napolitano. Mio padre, come lui, era dell’ala migliorista del partito».
Che studi hai fatto?
«Il liceo classico e Legge. Volevo fare il magistrato. Ma non mi sono ancora laureato».
Intendi terminare gli studi?
«Un anno fa avevo pagato tutte le tasse universitarie per riprendere gli esami, ma poi un gruppo di amici di Sel mi ha chiesto di partecipare alle primarie…».
Ricordi il momento esatto in cui è arrivata quella richiesta?
«Certo. Mi trascinarono in un pub, il Soul. Mi dissero che non sarebbero andati a votare se non ci fossero state primarie vere e che io ero l’uomo giusto. La mia vita è cambiata molto da allora».
Come?
«Stavo per smettere con le sigarette e, invece, eccomi qui: non vedo l’ora di allontanarmi dal registratore per uscire a fumare. Nuotavo: due chilometri e mezzo al giorno. Ora sono fermo da quasi un anno».
Un tracollo.
«Tu ci scherzi…».
Quando hai cominciato a occuparti di politica?
«Da adolescente, a scuola».
Eri adolescente alla fine degli anni Ottanta. Miti giovanili?
«Ho avuto un periodo dark. E ho sempre amato il rock. Anche quello più duro».
Ricordi il tuo primo comizio?
«Certo. In piazza Costituzione. Il 25 aprile 2001».
Avevi 25 anni.
«Ero segretario della Sinistra giovanile, i pidiessini junior. Feci un discorso citando il Cyrano De Bergerac. Un pezzo sulla ritrosia a piegare la schiena per inchinarsi ai potenti e sul non ridere quando si è tristi solo per compiacere un ministro: “Spiacere è il mio piacere”».
Sei un politico così?
«Mi piace distinguere tra l’autorità imposta da un ruolo e l’autorevolezza conquistata con l’esempio».
Sei stato anche attore.
«Quel brano del Cyrano veniva dall’esperienza nei teatri».
Hai raccontato di essere stato precario per molti anni.
«È vero. Al Teatro delle Saline, dove mi sono diplomato, ho avuto molti contratti a termine. E poi ho vissuto i co.co.co., i co.co.pro…». 
La prima candidatura?
«Nel 2006, a consigliere comunale, con l’Ulivo».
Sei stato nel Pds e nei Ds. Nel 2007 hai scelto di non entrare nel Pd.
«Molti compagni mi invitarono ad aderire all’avventura veltroniana. Ma a me non piaceva il progetto».
È vero che dopo un incontro/scontro pubblico con Fassino a Cagliari, lui consigliò ai dirigenti sardi del Pd di insistere nel reclutarti?
«Ma no. Fassino fu solo molto gentile. Molti anni fa è stato dirigente della Fgci insieme con mio padre».
Quanto ti ha aiutato la presenza di tuo padre nella carriera politica? Lui è stato segretario cittadino del Pci.
«Quando ho cominciato sul serio a fare politica lui non era in attività da più di dieci anni. Rinnovava la tessera e basta. In compenso mi ha sempre dato ottimi consigli».
Un esempio?
«Nel 2009 mi suggerì di mantenere il doppio incarico di consigliere comunale e regionale».
Non esattamente un consiglio anti-casta…
«Non fraintendiamo. Dopo essersi sincerato del fatto che le indennità non erano cumulabili e che avrei dovuto rinunciare a una delle due, mi spiegò che io avevo preso un impegno con gli elettori. E che gli impegni vanno rispettati anche se ti costringono a un doppio lavoro e a doppi sacrifici. Disse: “Non si possono usare le istituzioni come un trampolino”».
Trampolini. Che cosa farai dopo aver fatto il sindaco?
«Me lo chiedo spesso. Non il politico a vita. Questo è certo».
A cena col nemico?
Gianfranco Fini. È lontano da me, ma insomma…».
Hai un clan di amici?
«Ne cito uno su tutti. Francesco, fa il rappresentante di filati e lane».
Qual è l’errore più grande che hai fatto?
«Ho fatto tanti errori, ma non mi pare di averne fatti di enormi».
Che cosa guardi in tv?
«Non ho il tempo di guardare la tv».
Non fare lo snob.
«Mi tocca confessarlo: non ho la televisione in casa».
E allora: il film preferito?
«Quelli di Stanley Kubrick. Tutti tranne Eyes wide shut. Lì si vede che non è riuscito a definire anche gli ultimi dettagli».
La canzone?
«Amo il rock. London calling dei Clash».
Il libro?
«Uomini ex. Lo strano destino di un gruppo di comunisti italiani, di Giuseppe Fiori».
Chi era il portiere del Cagliari nel 1970, l’anno dello scudetto?
«Ma che domande: Albertosi. Non puoi fare il sindaco di questa città senza sapere certe cose».
Conosci l’articolo 12 della Costituzione?
«No».
È quello sul Tricolore. I confini di Israele?
«Questi li so bene: Libano, Siria, Giordania ed Egitto. Sono stato in quella zona e ho pure conosciuto Arafat. Il confine che manca, perché manca lo Stato, è quello con la Palestina».
Sai quanto costa un pacco di pasta?
«Perché dovrei comprare la pasta? Da due anni mi nutro soprattutto con pizzette e tramezzini».
La leggenda vuole che tu sia una buona forchetta e che tra i tuoi sponsor politici ci sia anche il proprietario del ristorante Flora, a Cagliari.
«Quando riesco ci vado a mangiare i ricci. La politica è una cosa seria, ma i ricci… sono patrimonio dei piaceri dell’umanità».     

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