Giampaolo Letta (Magazine – agosto 2008)

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Giampaolo Letta, 42 anni, è il boss pacato del cinema italiano: con Medusa, di cui è amministratore delegato, produce, co-produce, distribuisce, gestisce sale. Controlla il 17% del mercato. Quando parla della galassia filmica saetta morbidamente da un argomento all’altro sparando cifre ed elencando pregi e difetti del mercato italiano: assenza di divismo, autori ritrovati, attori promettenti e pochi spettatori. Il tono diventa più dimesso quando gli si chiede qualcosa di personale («Ma a chi importano certe cose?»). Dal padre Gianni, eminenza moderata del potere romano, Giampaolo ha ereditato una certa ritrosia a parlare di sé. Nel corso dell’intervista ripete una decina di volte che sul lavoro è stato fortunato e privilegiato. Sembra un mantra. La sua stanza, nel palazzetto hi-tech di via Aurelia antica, è tappezzata di poster e statuette dorate: cinetrofei degli ultimi mesi. In questi giorni spera di rimpinguare il palmarès: Medusa è presente alla Mostra del Cinema di Venezia col documentario Venezia ’68 (prodotto a firma di Antonello Sarno), un film fuori concorso (Burn after reading dei Coen), e tre in concorso: quello del regista Arriaga (Burning plain), quello di Pappi Corsicato (Il seme della discordia) e quello di Pupi Avati (Il papà di Giovanna). Quando gli chiedo che rapporto abbia con Avati, Letta mi dice che Pupi è un papà del cinema italiano. Poi si alza, fruga in un cassetto e tira fuori due fogliacci gialli a righe, scarabocchiati a penna su tutti i lati.
E questi che cosa sarebbero, scusi?
«Le mostro come è nato un film».
Si spieghi meglio.
«Nell’aprile 2007 ho incontrato Avati. Mi voleva parlare del suo ultimo soggetto. Disse: “Stanotte ho scritto quattro pagine. Eccole. Te ne parlo?”. Detto fatto. Con lui firmi sulla fiducia».
Sono bastate quelle poche righe scritte a penna per decidere di produrlo?
«Certo. Con i grandi faccio così. Quando vuoi distribuire Woody Allen mica gli fai l’esame della sceneggiatura».
Ah no?
«L’ultima volta che l’ho incontrato, a New York, mi ha detto solo che il prossimo film lo avrebbe girato a Barcellona. E dopo qualche settimana mi ha comunicato che nel cast ci sarebbe stata Scarlett Johansson».
I Coen…
«Li incontro a Venezia per la prima volta. Mi piace questo loro spaziare tra alto e basso: dalla commedia Prima ti sposo e poi ti rovino con Catherine Zeta-Jones al tostissimo Non è un paese per vecchi».
Un po’ come Medusa: dal cinepanettone e al cinepolpettone indigeribile.
«Siamo una major, a 360 gradi. L’obiettivo è sempre quello di coniugare qualità e gusto del pubblico».
È una vecchia chimera. Quest’anno si è parlato di una “primavera” del cinema italiano.
«Non amo quell’espressione. Ma è vero che da 6/7 anni viviamo un buon momento. Ciò non toglie che ci sono ancora parecchie ombre».
Quali?
«Siamo il mercato cinematografico più piccolo d’Europa».
Scherza?
«Nel 2007 abbiamo fatto 115 milioni di spettatori. In Francia sono stati 180. Prima di tutto dovremmo allungare la stagione: è assurdo che da noi si vada al cinema solo da settembre a maggio. Proprio per questo motivo, quest’anno abbiamo prodotto Un’estate al mare dei Vanzina».
Per gli americani siamo ancora un mercato appetibile?
«Sì. Grazie alle sinergie con la tv, con l’home video e con le varie piattaforme tecnologiche, che allargano il mercato».
Altre ombre?
«Costi raddoppiati causa euro. E l’estensione del mercato: a parte rare eccezioni, i nostri film sono venduti solo in Italia».
Quali rare eccezioni?
«Bertolucci, Tornatore, Salvatores, Zeffirelli…».
Qualcuno di più giovane?
«Muccino. Gabriele ha avuto successo in Italia, poi all’estero, tanto che è andato proprio a lavorare negli Usa: la sua Ricerca della felicità con Will Smith ha incassato più di 300 milioni in tutto il mondo. Oggi è un regista che ha il credito di tutti gli attori di Hollywood. A proposito, un altro problema…».
Un altro ancora?
«Sì. Il divismo. In Italia non ci sono i divi. Che nel sistema cinematografico sono essenziali».
Di attori che si danno molte arie se ne vedono parecchi.
«Sono solo popolari: puoi essere un grande attore e avere un grande ufficio stampa, ma essere divo è un’altra cosa».
Gli ultimi divi che abbiamo avuto?
«Mastroianni, Gassman, Tognazzi e Sordi. Personalità, talento, portamento… Sophia Loren e Claudia Cardinale. Oggi solo Monica Bellucci raggiunge quel livello di divismo».
Bellucci è andata a vivere in Francia.
«Nell’essere divo ci deve essere anche un tocco internazionale, no? A fare il divo sotto al Gazometro sono capaci tutti».
Non saranno divi, ma si dice che molti attori italiani siano capricciosissimi: c’è quella che vuole i fiori freschi tutti i giorni…
«Chi pretende l’autista al primo film…».
Perché voi produttori cedete ai capricci?
«Il red carpet per quanto sia discutibile fa parte del sogno. E serve all’industria del cinema. Dopodiché il vero divo può pure essere capriccioso, ma poi lavora come un mulo. George Clooney, Brad Pitt, Robert De Niro, sono ultra professionali».
Gli italiani lo sono meno?
«No, ma magari considerano la promozione meno importante della recitazione, si distraggono in conferenza stampa».
Un recente capriccio da divo a cui ha assistito?
«Russell Crowe ci ha chiesto una suite solo per fumare il sigaro di pomeriggio. Roba da matti. In ogni caso, in Italia dobbiamo lavorare per la nascita di un vero e proprio star system».
Star italiane. Lei su chi punterebbe oggi? Chi promette bene? Partiamo dai produttori.
«Faccio una premessa».
Premetta.
«Il produttore old style, quello alla Cristaldi o alla Dino De Laurentiis, non esiste più, neanche negli Usa. Oggi i produttori fanno altro».
E cioè?
«Sono organizzatori dei fattori di produzione: mettono insieme un progetto per proporlo al produttore/distributore».
Che sarebbe lei.
«Medusa e Rai Cinema. L’unica eccezione è Aurelio De Laurentiis, che però produce solo un paio di film all’anno».
Detto ciò, oggi chi sono i produttori più promettenti?
«Nicola Giuliano e Francesca Cima di Indigo Film. Lavorano bene: hanno prodotto La ragazza del lago e Il Divo».
Gli attori?
«Laura Chiatti, Pierfrancesco Favino e Luca Argentero».
I registi?
«Saverio Costanzo, bravissimo. Anche se ancora troppo complesso».
Lo vorrebbe più “di mercato”?
«Si deve un po’ sciogliere. Gliene ho parlato spesso. E credo che anche Mario Gianani, altro produttore promettente, lo stia aiutando in questo. Poi, ovviamente ci sono Garrone, Molaioli e Sorrentino».
Medusa aveva prodotto vari film di Sorrentino. Perché con Il Divo vi siete tirati indietro? Non volevate essere complici di un film anti-Andreotti?
«Non facciamo valutazioni politiche».
La Medusa fa capo alla famiglia Berlusconi.
«E questo ha creato una specie di discriminazione nei nostri confronti».
Addirittura?
«Molti dichiarano di non voler lavorare con noi per presunti motivi politici».
Dopo le elezioni del 2001 Bertolucci…
«Lui disse che non avrebbe proprio più girato in Italia. Si ricorda la leggenda sul regime berlusconiano?».
Ettora Scola dichiarò che non avrebbe più girato nulla con Medusa.
«Ci rimasi male. Noi non facciamo mai pressioni di nessun tipo. Può chiederlo a chi vuole. A Tornatore o a Ozpetek. A chiunque abbia lavorato con noi. Virzì mi ha ringraziato pubblicamente per l’autonomia e la libertà con cui ha girato Tutta la vita davanti».
A me risulta un episodio di censura, proprio su una scena di Ozpetek.
«Ma no. Non c’è stata censura».
Avete tagliato una scena un po’ spinta.
«Abbiamo solo chiesto che la accorciasse. Ci sembrava un po’ troppo insistita».
Le capita spesso di mandare in sala film lontani dalla sua sensibilità?
«Certo. Mica finanziamo solo le cose che piacciono a me. L’unica linea che ci guida è quella del mercato. Il mito della Medusa berlusconiana è un’invenzione di una certa sinistra».
Con uno dei pochi registi dichiaratamente di centrodestra lei ci ha litigato.
«Parla di Pasquale Squitieri?».
Sì.
«Ho criticato certe sue dichiarazioni bizzarre.Io a Roma sono un elettore di Alemanno e mi stupiva che il presunto uomocinema del sindaco, cioè Squitieri, sparasse sentenze che dimostravano quanto poco ne sapesse sul mercato italiano e sulla Festa del Cinema di Roma».
C’è chi dice che Medusa sia il principale supporter della Festa di Roma.
«Ci troveremo bene anche con Rondi. Ma col gruppo di Goffredo Bettini abbiamo sempre lavorato al meglio. Bettini è una persona di straordinaria intelligenza politica e culturale».
Politica e cultura. Lei è favorevole ai finanziamenti pubblici al cinema?
«Di tutte le forme artistiche, il cinema è quello che ne ha meno bisogno. E di sicuro non servono finanziamenti a pioggia, vecchio stile. Ma la tax credit è una detrazione fiscale importante».
La tax credit è stata ripristinata dopo un intervento di suo padre, Gianni.
«Mio padre è un uomo del governo. So che Sandro Bondi si è speso molto ed è stato determinante».
Lei come arriva al mondo del cinema?
«Grazie ai buoni rapporti della mia famiglia con Berlusconi. So di essere stato privilegiato».
Prima che cosa faceva?
«Mi occupavo di macchine. Di Ferrari».
Racconti.
«Uscito da scuola…».
Che studi ha fatto?
«Il liceo classico a Roma, al Villa Flaminia, dai Fratelli delle Scuole Cristiane. Dopo la maturità, Luca Cordero di Montezemolo mi fece fare qualche esperienza».
Come lo conosceva?
«È amico di famiglia. Mi prese a fare lavoretti vari per la Cinzano, per i mondiali di vela dell’84 in Costa Smeralda…».
Che cosa faceva di preciso?
«L’autista per i giornalisti. Mi divertivo come un matto. Nel 1985 partii per il servizio militare: ufficiale dei Carabinieri».
Dove?
«Prima a Firenze e poi a Palermo nel periodo che precedette il maxi processo: in certi quartieri la divisa non era molto ben vista. Rientrato a Roma, dopo la laurea in Legge, Montezemolo mi propose di fare uno stage in America alla Ferrari. Dovevano essere 5 mesi, sono diventati 5 anni. Mi occupavo della comunicazione e dei grandi eventi. Poi a Maranello passai al marchio Ferrari».
Fin qui la formazione da manager. Ma del cinema non c’è ancora traccia.
«Il cinema arriva alla fine degli anni 90. Berlusconi mi aveva proposto più volte di entrare nelle sue aziende. A un certo punto mi presentò Carlo Bernasconi…».
Ex leader di Medusa, morto nel 2001.
«Dopo qualche incontro con lui cominciai la collaborazione. Carlo mi ha introdotto nel mondo del cinema e mi ha spiegato i trucchi per cominciare».
I trucchi?
«Come gestire i rapporti con le major americane, con registi e attori… queste cose qui. Carlo era un grande. L’impostazione di Medusa che produce sia Aldo, Giovanni e Giacomo sia Saverio Costanzo è sua. Lui è morto di amiloidosi, una malattia rara. E da quando è scomparso Medusa supporta una associazione, la Sia, che fa ricerca e cura questa patologia».
Lei ha un clan di amici?
«I miei migliori amici si chiamano Andrea Signori, ex compagno di scuola e Andrea Pignoli, ex compagno di sport».
Che sport faceva?
«Canottaggio. Ora, invece, corro».
Vip di corsa: Prodi, Velardi…
«Li ho incontrati spesso. Di mattina presto, tra il Lungotevere e Villa Borghese».
Il film della vita?
«Nuovo cinema paradiso, di Tornatore».
Il libro?
«Gomorra, di Roberto Saviano».
Il film Gomorra lo ha visto?
«Certo, bello».
Perché non lo ha prodotto Medusa?
«Avrei voluto, ma un pomeriggio di tre anni fa, a Milano, ero alla Mondadori. Maurizio Costa, amministratore delegato della casa editrice, mi mise in mano Gomorra e mi disse: “Leggilo, è molto interessante”. Lo lessi d’un fiato. La mattina dopo mi informai per acquisire i diritti. Ma Domenico Procacci, della Fandango, mi aveva preceduto. Di poche ore!».
Una beffa. Come si arriva a farsi produrre da Medusa?
«Io faccio leggere anche i manoscritti che ci mandano scarabocchiati su un block notes».
E ha mai prodotto un film nato dallo scarabocchio di uno sconosciuto?
«No. Il meccanismo più frequente è quello del produttore che propone un progetto. A volte le proposte sono un po’ ripetitive: c’è stato il periodo Muccino, quello Ozpetek…».
Si cercava di imitarli?
«Sì, dopo l’Ultimo bacio, sono arrivate centinaia di storie di trentenni in crisi. Dopo Le fate ignoranti… il filone omosessuale».
E ora?
«Va un po’ meglio. Anche se la produzione di idee resta un altro dei punti deboli del nostro cinema».
Sono frequenti i tentativi di raccomandazione?
«Capita che mi vengano segnalati alcuni copioni».
Nessuna proposta indecente? Lei sarà circondato da attrici meravigliose…
«No. Il produttore in poltrona che fuma il sigaro e sceglie le attrici non esiste più».
Vallettopoli e Intercettopoli dicono il contrario. Non è che spunta una sua intercettazione in cui parla di qualche attrice da piazzare in un film?
«Non credo proprio».

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